Sydrojé - Né Vivere Né Morire
I Sydrojé esordiscono con un oceanico disco di ventiquattro canzoni, per un’ora e venti minuti di musica. Un album che testimonia (quasi) tutta la produzione dei tre dopo l’esperienza con i Rumori Di Fondo. Stefano Scrima, che canta e suona la chitarra, è autore di tutti i testi; Andrea Carasi (basso) e Stefano Muchetti (batteria) ci mettono il tiro. La musica dei Sydrojé è un punto di incontro tra il grunge e la tradizione cantautorale: riff violenti di chitarra, frammenti di voce sporca e urlante, basso distorto e batteria potente si alternano a momenti di quiete, intrusioni pianistiche (di Daniele Scotti), melodie semplici ma efficaci, arpeggi delicati. Le liriche sono quanto di più pessimista e disperato il rock giovanile cremonese abbia mai prodotto. Non è un pregio, non è un difetto: è un dato di fatto. Contenuti (fin troppo) autobiografici, postneorealismo musicale estremo, impossibilità di buttare giù una sola riga che non si riferisca al proprio vissuto. Questo è Stefano Scrima, 19 anni, cantautore. Il resto si perde in un mare di chiacchiere.
I pezzi dei Sydrojé giocano quasi tutti sulla dicotomia lento/incazzato (ma d’altronde gira così circa da cinquant’anni nel rock’n’roll). La tecnica è messa da parte, non è inseguita. Un giro di accordi solido si fa preferire a un assolo, un quattro quarti compatto ha generalmente la meglio su qualsiasi ricamo ritmico, il basso suona dritto per dritto e si concede giusto un paio di arricchimenti armonici e mezzo assolo in tutto il disco. A volte le canzoni vanno troppo per le lunghe; peccato veniale e niente più, però penso che una maggiore sintesi contribuirebbe ulteriormente all’intensità del brano.
Cito Rabbia-Spray, Quale Onore, Succhi Gastrici (con riff iniziale stile Pearl Jam) e Quelli Che Soffrono tra i pezzi power più riusciti. Trovo che la ballad più coinvolgente e ben scritta sia La Membrana Plastica, brano acustico. Una Voragine Nel Petto è struggente, anche in virtù delle quattro semplici note di pianoforte che la accompagnano. Tra questi due estremi si colloca Quinto Piano Vista Sul Danubio, uno dei pezzi più sereni (se così si può dire) dell’album, che parla dell’innamoramento per la città di Budapest. Si differenziano Non È Mica Semplice (una sorta di grunge jazzato) e il discopunk di Marocco Dream Nation, che, come spesso capita ai pezzi nati in cinque minuti, quasi per scherzo, in sala prove, è diventato all’istante un cavallo di battaglia delle esibizioni live. In effetti, andare a vedere un concerto rimane il modo migliore per apprezzare i Sydrojé, che sono essenzialmente una live band, frenetica, distruttiva e – why not? – bella da vedere. C’è un brano strumentale (Campeggio Barcellona), ci sono citazioni più o meno velate. La più palese viene da De André ed è la frase che dà il titolo a Un Cinghiale Laureato In Matematica Pura, brano che parla appunto dell’uomo medio, che fa tutta la sua trafila esistenziale da placido conformista e passa la vita a Cremona in un tranquillo grigiore. E poi c’è quel «Rock moderato», sussurrato all’inizio di Pesa Il Cielo, che omaggia Cobain (e infatti l’influenza dei Nirvana nel pezzo è evidente).
In sostanza un bel disco, sincero fino in fondo, che purtroppo risente della registrazione in presa diretta (obbligata, per mancanza di altri mezzi). Sarebbe bello sentire una reincisione completa, prodotta per bene.
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