Metallica - Death Magnetic
E finalmente, dopo anni di attesa, riecco i ragazzoni di Los Angeles proporci l’ultima loro fatica, a lungo reclamata dai fan, digiuni dei loro beniamini da oltre quattro anni (addirittura dieci, se soprassediamo su St. Anger, il loro album più discusso).
Death Magnetic è un po’ la storia della fenice che risorge dalle ceneri. Quelle ceneri in cui i quattro cavalieri dell’apocalisse erano sembrati sparire con l’uscita, appunto, di St. Anger, un album che, ricordiamolo, segna il giro di boa nelle vite dei ragazzi: Jason Newsted (bassista) è al limite e sta per lasciare il gruppo, James Hetfield (voce e chitarra ritmica) sta raccogliendo quei pochi pezzi della sua esistenza rimasti intatti dalla dipendenza di alcol e altre sostanze (voci non ufficiali dicono che si scolasse intere bottiglie di Jägermeister) e sta per entrare in terapia. In tutto questo casino Lars Ulrich (batteria) e Kirk Hammett (chitarra) tengono in piedi la baracca, sostenendo James e trovando in Robert “Bob” Trujillo una valida alternativa a Jason.
Finalmente, dicevamo, i fan si ritrovano tra le mani un nuovo album per cui, senz’altro, è valsa la pena di tanta attesa. Dopo vari ascolti si può riscontrare che tutto ciò che c’è stato di buono sino al Black Album è stato messo a frutto.
In questo Death Magnetic c’è tutto quello che i vecchi fan dei Metallica aspettavano: la voce di James è tornata, più matura rispetto ai vecchi album, ma c’è e convince ancora, Lars picchia sulla batteria come un fabbro (nonostante ogni tanto sembri essersi dimenticato di avere una doppia cassa), Kirk spara nuovamente gli assoli che lo hanno contraddistinto nei primi album del gruppo, anche se la rabbia adolescenziale non c’è più, e Bob fa egregiamente il suo sporco lavoro, arrivando in certi punti a sembrare un rullo compressore. Ma veniamo alle singole tracce, che, ricordiamolo, durano tutte (tranne l’ultima) dai sei/sette a quasi dieci minuti, per una media di oltre sette minuti a brano.
Traccia 1: That Was Just Your Life. L’inizio ricorda vagamente un mix tra Enter Sandman (Black Album) e Am I Evil (Garage Inc.). L’ispirazione è quella di Blackened (…And Justice For All) e si sente. Finalmente siamo tornati a un sano speed thrash. Impressionanti, secondo me, i continui cambi di ritmo.
Traccia 2: The End Of The Line. Altro pezzo decisamente thrash metal. Anche qui ci sono i Metallica di un tempo… E sono tornate anche le stoppate stile Creeping Death (che comunque, in alcuni tratti, ricorda molto). Secondo me è un pezzo che non convince subito, ma necessita di qualche ascolto. Di sicuro impatto sul pubblico nelle future esibizioni dal vivo.
Traccia 3: Broken, Beat & Scarred. L’inciso ritmico appena prima dell’inizio della parte vocale mi piace da morire. Questo è decisamente un bel pezzo. Dal testo, si direbbe, un brano autobiografico relativamente ai guai passati da James: «What don’t kill ya make ya more strong» («Ciò che non ti uccide ti rende più forte»), con gli altri che gli urlano in coro «Show your scars» («Mostra le tue cicatrici»). Anche qui, cambi di ritmo abbastanza frequenti. Thrash puro.
Traccia 4: The Day That Never Comes. Questo pezzo (da cui è stato tratto il primo singolo e il video) è, a mio parere, il migliore dell’intero album. Un inizio un po’ alla Nothing Else Matters (Black Album). Buona la melodia, dopo tre/quattro ascolti ce l’hai già nella testa. Nella prima metà c’è una buona traccia di basso, che fortunatamente non viene seppellita dalle chitarre, le quali risalteranno, con alcuni assoli rapidi di Kirk, nella seconda metà del brano, ricordando un po’ One (…And Justice For All). Ottima ballad.
Traccia 5: All Nightmare Long. Che dire di questo brano? Coinvolge, non c’è ombra di dubbio. Fa venire voglia di fare headbanging e pogare fin dalle prime battute. Anche in questo caso, la melodia entra quasi subito in testa. Signori, questi sono i Metallica!
Traccia 6: Cyanide. È il primo pezzo dell’album che ho sentito (quasi un mese prima della pubblicazione ufficiale dell’album, tra le pre-listen del sito ufficiale). Bella e potente, ma non mi convince a fondo, anche se non capisco perché. Se gli dovessi per forza cercare un difetto, direi che è fin troppo orecchiabile (e infatti è diventata il terzo singolo).
Traccia 7: The Unforgiven III. Sorpresa! Un pianoforte suona (l’intro) in un pezzo dei Metallica e ciò che ne viene fuori è decisamente bello, anche perché a un certo punto sembra che il suono del piano si fonda con la chitarra, che entra e ti ritrovi ad ascoltare una chitarra chiedendoti dove è finito il piano. Il pezzo in sé è orecchiabile e discretamente buono, peccato per il riferimento, nel titolo, a The Unforgiven (Black Album), perché porta inevitabilmente a un paragone e questo pezzo ne esce, purtroppo, a un livello lievemente inferiore.
Traccia 8: The Judas Kiss. Traccia discreta, anche se non decolla mai, si lascia in ogni caso ascoltare. Forse è il pezzo che apprezzo meno dell’intero album. Diciamo che rispetto a ciò che si è sentito finora (relativamente all’album) è quello con meno spessore. Sa un po’ di riempitivo (e sono otto minuti tondi tondi). Quasi sicuramente non entrerà tra le pietre miliari del gruppo.
Traccia 9: Suicide & Redemption. Traccia totalmente strumentale. Riff di chitarra graffianti e accattivanti come il buon Kirk ci ha abituati dall’ormai lontanissimo 1983. Purtroppo, di quegli anni, manca in sottofondo la tecnica di Cliff Burton (bassista del gruppo dal 1982 sino alla sua prematura scomparsa nel 1986, durante un tour). Definito da molti “il Jimi Hendrix del basso”, Cliff avrebbe senz’altro reso questo pezzo una delle migliori strumentali della storia del gruppo. Verso la fine il pezzo prende una piega un po’ nu metal. I ragazzi comunque tirano fuori un pezzo di tutto rispetto e siamo sulla soglia dei dieci minuti.
Traccia 10: My Apocalypse. Secondo singolo tratto dall’album. E qua, signori, si torna alle note speed di Kill ’Em All e Master Of Puppets. Ottima canzone di chiusura, veloce e assassina (come lo fu Metal Militia per Kill ’Em All).
Non voglio assegnare un voto a ogni singolo brano, in quanto, un po’ come tutti i lavori dei Metallica, ritengo che non si possa ricondurre tutto a un numero. Questo album va ascoltato più volte e somatizzato per poter essere apprezzato al meglio (ed è anche per questo che ho aspettato ben un mese per farne una recensione obiettiva).
Voto complessivo all’album: 7½.
I Metallica sono tornati, dopo il flop di St. Anger (che comunque definirei più una sperimentazione che un vero e proprio lavoro). I quattro cavalieri dimostrano ancora che ci sono (eccome) e, nel panorama heavy planetario, hanno ancora senz’altro qualcosa da dire. Nota negativa: il booklet del cd (almeno nella versione italiana) ha una buona grafica, ma per 20 € tondi tondi mi sarei aspettato un’impaginazione più accurata: la fustellatura delle singole pagine (che dà profondità alla copertina) taglia alcuni pezzi dei testi contenuti all’interno.
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