Losfuocos - We Like Vinyls
I Losfuocos sono tornati! A quattro (già quattro?) anni di distanza dal precedente album Revolution (2007), dopo l’ingresso di un nuovo batterista (nel 2009) e la realizzazione, nello stesso anno, di un ep con tre cover, il trio lodigiano (Pado, voce e chitarra; Den, basso e cori; Corbe, batteria e cori) si ripropone in pompa magna, con questo We Like Vinyls, che esce, neanche a dirlo, su splendido vinile, coprodotto da svariate etichette e realtà: Il Verso Del Cinghiale Records, Rebel Kid Music, Go Down Records, Rancore Records & Downloads, Lapaguis, Vans Italia.
La formula vincente non si discosta dalle precedenti fatiche del gruppo: rock’n’roll duro, veloce, ad alta intensità. Tuttavia, è facile riscontrare una maggiore efficacia e sicurezza compositiva nei brani che compongono il lato A del disco, rispetto al lato B (o, se preferite, nelle prime tracce rispetto alle ultime del cd, incluso nella confezione): questo perché i pezzi del lato A (etichetta nera) sono inediti e recenti, mentre il lato B (etichetta bianca) è la ristampa integrale dell’ep del 2005 Peechoopachoo, oggi sostanzialmente introvabile. In casi come questo, il rischio è che si avverta una disomogeneità nella produzione tra una parte e l’altra: qui, invece, per fortuna la coesione del suono è preservata, poiché sia i vecchi pezzi, sia i nuovi, sono registrati – con la medesima qualità – presso lo stesso studio, il Tray Studio di Inzago (MI).
I Losfuocos mi fanno impazzire perché riescono a suonare ignorantissimi, ma con rara classe: la title track d’apertura, We Like Vinyls, è il perfetto esempio di come si possa partire in quarta senza per questo risultare rumorosi o grezzoni. Riff di chitarra che esce solo dal canale stereo di sinistra, stoppata immediata, e poi via, coi titanici controtempi di Corbe (che riesce nell’impresa di non far rimpiangere il drumming del precedente batterista Mike). Il ritornello è una dichiarazione/manifesto: «We’ve got nothing to hide / We like vinyls / Homesick boys we’re out of time». Si prosegue con Fear In The Room, che, sarà per via del titolo orrorifico, mi suona – nel giro di chitarra iniziale – come degli ipotetici Black Sabbath fatti di speed anziché di sedativi. Quando il pezzo sboccia, e si apre sui coretti finali, siamo invece dalle parti dei migliori Thin Lizzy. La voce alta e pulita di Pado, che spicca in particolare in questo brano, è uno degli elementi che, da sempre, mi paiono far fare il salto di qualità al gruppo. La traccia 3 è la mia preferita: Dirty Train, sacrosanta denuncia, per nulla metaforica e parecchio divertente, dei disagi connaturati alla vita da pendolare. Il riff di chitarra è grande, ma l’impatto è ancor più devastante perché qui Den si prende delle grandi libertà, suonando delle fichissime linee di basso sulle note acute, molto evidenti nel missaggio finale. A completare il tutto, Corbe picchia sul campanaccio (la percussione più rock che esista) come se volesse spezzarlo in due… Totale: palma per il pezzo migliore. La canzone più old school del lato A è Little Dead Man: batteria sincopata che si prende solitaria tutto l’attacco del brano, poi entra il battimani velocissimo e, in un attimo, siamo catapultati nella Detroit di fine Sessanta (nota di colore: le maracas percettibili durante l’assolo centrale!). È una cover a chiudere il lato: Suffragette City, del sempiterno Bowie, viene ripresa in maniera per nulla pedissequa, ma anzi passata al setaccio della lezione scandinava anni Duemila, tanto da diventare una cover nella cover, visto che il primo assolo riprende per filo e per segno (l’omaggio è dichiarato nei crediti del disco) la stupenda Toys And Flavors degli svedesi The Hellacopters, da sempre il faro musicale ai cui i Losfuocos guardano.
Ed è appunto a questo stile super rock, tra Kiss, The Hellacopters ed MC5, che tutto il lato B è consacrato. I cinque pezzi, datati 2005, sono potenti come poche cose nel panorama rock’n’roll delle nostre parti: Einstein Smiling, Monkey Nights, In Love With Love, Little Boy Loser e A Band And Her Combos si ascoltano ancora che è un piacere (Monkey Nights è diventata un vero e proprio inno da concerto), anche se – innegabile – si assomigliano un po’ tutte, eccezion fatta per la power ballad (ma chiamarla così è riduttivo) centrale. Ed è bello e naturale, fatti i debiti raffronti, ritrovarsi a constatare come il gruppo sia cresciuto negli anni, e come le canzoni recenti siano, semplicemente, migliori di quelle degli esordi.
Il modo migliore per procurarsi il vinilone più cd (il tutto viene via per dieci onestissimi euro) è quello di comprarlo al banchetto, subito dopo aver visto i Losfuocos dal vivo: sul palco i tre lodigiani danno tutto, offrendo sempre un live show coi fiocchi. Una menzione è doverosa per il bel packaging, la cui grafica d’altri tempi è curata da marcopadovanidesign (ovvero lo stesso Pado).
Pubblicato ufficialmente solo pochi giorni fa, We Like Vinyls potrebbe rimanere l’ultimo disco dei Losfuocos per non così tanto tempo: è già in lavorazione un prossimo full length, che, a quanto pare, presenterà maggiori influenze sul versante hard blues e southern rock. Personalmente, già non vedo l’ora…
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