La Mamoynia - Mono Ego
Sono preoccupato.
Con la scusa di farne la recensione, sto ascoltando Mono Ego un po’ troppo spesso. Temo che stia cominciando a piacermi sul serio. Ho cominciato a farlo ascoltare a tutti quelli che salgono sulla mia auto. Ma soprattutto l’ho ascoltato in cuffia tantissime volte e addirittura mi sono trovato a canticchiare Nightmares I’m Hiding From sotto la doccia!
«Bene», penserete voi, «deve trattarsi di un bel disco». E infatti lo è, ma la musica dei La Mamoynia non è fatta per essere cantata sotto la doccia! Presenterò i fatti prima di perdermi del tutto nella dipendenza (naturalmente sto ascoltando il disco in cuffia mentre ne scrivo la recensione).
I La Mamoynia sono un gruppo assolutamente particolare e originale e ci sarebbero molte cose da dire su di loro, ma non voglio fare una copia della recensione che scrissi per il primo disco, citando i riferimenti o le caratteristiche che li rendono così particolari, per cui cercherò di concentrarmi sulle differenze. Innanzitutto, è cambiata la lineup: il chitarrista ha lasciato il gruppo alla fine del 2004. Di conseguenza, cambiano gli strumenti: rinunciando alla chitarra si è puntato maggiormente sui due bassi e sui suoni elettronici, e sono assurte al ruolo di strumento vero e proprio le “percussioni urbane”. Ebbene, si avverte netta la sensazione del miglioramento in tutte le componenti del disco: nella grafica, nei suoni, nei brani. Il secondo disco è sempre una trappola, ma i La Mamoynia ne escono benissimo estremizzando tutte le loro peculiarità, curando maniacalmente ogni dettaglio e definendo un proprio stile, annullando in questo modo il rischio di sembrare ripetitivi. Si ripetono eccome, ma migliorando tantissimo. Tra il primo e il secondo album passa la stessa differenza che c’è tra un martello e una sparachiodi Black & Decker: entrambi affondano punte metalliche nelle orecchie e nel cervello dell’ascoltatore, ma la seconda lo fa con maggiore velocità, precisione ed efficacia. Decine di effetti sonori si rincorrono fin dal primo brano e dopo un minuto non interessa più sapere qual è l’origine di quei suoni: strumenti suonati da mani umane, computer, sintetizzatori, cancelli (immagino io) colpiti con regolarità, registrazioni di sirene, aerei e ufo, le corde vocali di Dimitris… Non ci sono dieci secondi di una qualunque canzone tra le undici del disco che non riservino sorprese, ci sono “tonnellate” di suoni diversi in questo disco, tutti affascinanti nella loro aderenza alle atmosfere del disco. Che come nel precedente sono cupe, opprimenti, alienate, ma stavolta sono meglio definite, più “convinte”. Anche in questo album c’è una cover: stavolta è Links dei Mecano del 1980, che si lega benissimo con il resto del disco. Il packaging curatissimo riesce a superare il già ottimo esordio grazie anche a dettagli geniali come il logo in copertina (osservate bene il muro in fondo al vicolo). La produzione è eccellente e permette di distinguere ogni dettaglio sonoro. Ma la crescita maggiore si vede proprio nella composizione dei brani e nell’esecuzione: sono tutti più bravi a suonare e a creare. Il genere (elektro dark wave) rimane particolare e a molti continuerà a far storcere il naso, ma quello che fanno i La Mamoynia, qualunque cosa sia, in questo disco lo fanno molto meglio.
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