Jethro Tull - Aqualung
Ian Anderson è sempre stato restio a definire la sua band con l’etichetta di progressive rock, che la critica musicale dell’epoca diede ai Jethro Tull, che negli anni si erano discostati dai dettami del blues a tinte folk predominanti nell’album di esordio This Was, per poi assumere un’identità tra le più peculiari della storia del rock. Possiamo definirlo prog rock, o semplicemente hard rock miscelato col folk, poco importa: il flauto del buon Anderson non manca mai di dettare legge e qui in Aqualung lo fa con una precisione chirurgica, riuscendo a essere protagonista senza mai togliere importanza alle chitarre. Anche se Anderson non lo vuole ammettere, questo disco presenta effettivamente caratteristiche tipiche del concept album prog. Forse non lo è tout court come Quadrophenia o The Wall, ma nelle undici tracce si respira un significato comune, a volte più esplicito, a volte più in secondo piano. Tuttavia, ciò che accomuna le canzoni di questo album è più un tema metaforico-metafisico che una storia fatta e finita, come nei due dischi citati sopra. Nel lato A si parla, certo, di barboni, prostitute e pazzi, ma ciò serve solo da apripista per l’approfondimento del lato B, dove le liriche percorrono sentieri più intimisti.
Mentre apro la busta in cui gelosamente conservo uno dei miei vinili preferiti non posso fare a meno di soffermarmi sulla splendida copertina, raffigurante un senzatetto – ovviamente Aqualung – vestito di stracci e appostato all’angolo di un vicolo con lo sguardo rivolto verso qualcosa che noi non vediamo, probabilmente le «little girls» di cui alla prima strofa della title track o la Cross-Eyed Mary della seconda traccia. Il retro di copertina è iconico quanto il fronte: nell’unico spiraglio di luce su uno sfondo blu c’è Aqualung che coccola un randagio e, appena sopra di lui, in delizioso carattere gotico, un manifesto in nove punti che riassume il tema dell’album.
1. In principio l’Uomo creò Dio; e a immagine dell’Uomo lo creò.
2. E l’Uomo diede a Dio una moltitudine di nomi, cosicché potesse diventare il Signore su tutta la terra quando l’Uomo l’avesse voluto.
3. E nel settemilionesimo giorno l’Uomo si riposò e si affidò al suo Dio, e vide che era cosa buona.
4. E l’Uomo diede forma ad Aqualung dalla polvere della terra, e a una schiera di altri fatti a sua somiglianza.
5. E questi uomini inferiori l’Uomo gettò nel vuoto; alcuni furono bruciati, e alcuni furono separati dai loro simili.
6. E l’Uomo divenne il Dio che egli stesso aveva creato, e con i suoi miracoli regnò su tutta la terra.
7. Ma mentre accadevano tutte queste cose, lo Spirito che portò l’uomo alla creazione di Dio viveva in tutti gli uomini; persino dentro Aqualung.
8. E l’uomo non se ne accorse.
9. Ma per l’amor del cielo è meglio che cominci a stare attento.
Senza addentrarci in esegesi filosofiche, questi nove punti sono una chiarissima critica al potere e ai potenti, che crearono le religioni per controllare le masse e divisero gli uomini: creando la povertà, bruciando i diversi, separando le genti per i propri tornaconti. Ma, in conclusione, anche gli ultimi della Terra hanno dentro la scintilla divina e il potente deve stare attento, perché non passerà molto prima che si uniscano e riprendano ciò che è stato negato loro.
E poi il disco, finalmente. Come accennavo prima, i due lati dell’album presentano tematiche differenti, tanto da avere entrambi un proprio titolo. Aqualung è il lato A, caratterizzato da immagini terrene, momenti di vita vissuta e personaggi ai margini della società; My God il lato B, nel quale i testi assumono una connotazione spirituale su più livelli.
Si parte forte con la celeberrima Aqualung, col suo ritmo cupo e i versi tragici sulla sorte dell’omonimo protagonista, seguita a ruota da Cross-Eyed Mary, la storia di una ragazza che di mestiere fa la prostituta per i ricchi e i notabili della zona, ma che conserva dentro di sé un amore infinito per gli ultimi e i deboli, una Bocca Di Rosa in salsa rock. Poi uno stacco: nel breve intermezzo di Cheap Day Return vediamo l’autore in attesa del treno che lo porterà a casa, dalla panchina della stazione distoglie per un momento lo sguardo dai barboni e dalle prostitute e rivolge un pensiero al suo anziano padre. Il pezzo per chitarra acustica e flauto Mother Goose è un racconto fiabesco su bizzarri personaggi che l’autore incontra mentre passeggia per il grande parco di Hampstead Heath; notevole tra i tanti lo studente straniero che chiede se ci siano davvero leoni ed elefanti al Circo di Piccadilly (Piccadilly Circus). Wond’ring Aloud è, come Cheap Day Return, un breve intermezzo in cui l’autore si ferma a pensare alle piccole cose della vita, come l’amore di due sposini che fanno colazione a letto e immaginano il futuro. Up To Me, che chiude il lato A, è caratterizzata da un ritmo più sostenuto e ribalta quasi completamente la prospettiva della precedente: il narratore vive una storia più burrascosa – più rock’n’roll, se vogliamo – e la ripetizione del titolo ci riporta a un tema che sarà importante nel lato B del disco: quello che mi succede, quello che faccio «it’s up to me», cioè è mia responsabilità, nessun altro – se non io stesso – è artefice del mio destino.
La seconda facciata del vinile parte con uno spirito decisamente diverso dalla prima: My God è un atto d’accusa verso il clero – in particolare alla «bloody Church of England» – colpevole di aver «chiuso Dio in una gabbia dorata» e averlo «piegato alla loro religione», perdendo quindi di vista l’insegnamento dell’amore verso il prossimo, il tutto in una bellissima cornice folk dove, come al solito, il flauto la fa da padrone. Dopo essersi rivolto agli uomini, parla direttamente a Dio nella rockeggiante Hymn 43 e infine si concentra su sé stesso da Slipstream, terzo e ultimo intermezzo acustico, in poi. Locomotive Breath è probabilmente il capolavoro dei Jethro Tull: una quarantina di secondi di piano classico, poi un sospiro di chitarra blues; l’accoppiata si protrae ancora mezzo minuto, la chitarra sfuma e parte un ritmo che richiama lo stantuffo delle vecchie locomotive a vapore (che meraviglia!) che fa da contraltare alle liriche fataliste di Anderson, incentrate sull’ineluttabilità della vita dell’essere umano, che corre verso la morte proprio come una locomotiva senza freni. Conclude questo spettacolare viaggio l’aggressiva Wind Up, con un messaggio che riassume un po’ tutto il disco, rivolto a preti, catechisti e insegnanti di religione in genere: «You had the whole damn thing all wrong!» («Avete dannatamente sbagliato tutto!»).
Come dargli torto.
Commenta