Cinema Recensione Cinematografica

Italians

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Italians

Ieri sera, orfano del mio compagno di scorribande notturne nell’orrore del 35 mm del giorno d’oggi, ho visto Italians.
Mai più da solo. L’angoscia per tanto orrore, quasi peggio di quello che quotidianamente tocca sopportare, è stata troppa. Ero da solo e volevo piangere.
Il film si apre con la scritta che attesta l’interesse culturale che il film esercita, tale da ricevere appunto il finanziamento pubblico.
Veronesi, dovete morire tu e lo sceneggiatore che ha scritto tanta merda.
Uno sfacelo di luoghi comuni che nemmeno Boldi-De Sica, soluzioni tra lo sconcerto e la vergogna più criminale, battute al limite della quinta elementare, fotografia prossima a Totò contro Maciste, dissertazioni sul dialetto dell’italico stivale da far rabbrividire un boscimane d’Australia nella sala a fianco.
Recitazione, no. Non ci devo pensare. Verdone è morto da trent’anni, ma ieri sera hanno fatto recitare la fotografia della sua lapide. Il doppiaggio è infamante di termini come “volume”, “distanza in metri” o “sincronia”. La sceneggiatura è meno strutturata di una barzelletta di Pierino. Tutto può succedere e tutto si può spiegare in trenta secondi netti, con un paio di scene nelle quali la cinepresa fa tredici campi e controcampi a ogni botta e risposta o in piano sequenza unico. C’è una brusca virata dal cinepanettone ridereccio alla tragedia con omicidio in (giuro) due minuti scarsi, a meno di venti dalla fine del film. Così, inspiegabilmente, da una battuta all’altra. E mentre c’è la virata di genere, inutile al film come la fede alla carriera in Vaticano, le battute non si arrestano, tant’è che non si capisce che in realtà è tragedia.
Ma che merda d’insulto! Praticamente è un cinepanettone fatto e finito, ma Veronesi ce lo vendono come cinema italiano, perché ormai anche il pubblico più orrendo ha mangiato la foglia, e latita con Boldi-De Sica.
Vomito allo stato puro.
Anche il titolo puzza di letame.
I titoli di coda, come prima cosa, ringraziano Beppe Severgnini e il Corriere della Sera (probabilmente hanno pure pagato) per il permesso di utilizzare il termine Italians. Ma se Dio avesse voluto farvi fare meno fatica per sceneggiare un film, non avrebbe inventato il diritto d’autore! Ma è possibile che uno screenplay della mia minchia romana raccomandata non sia in grado di partorire una fogna di titolo originale? O Natale a…, oppure il titolo lo si compra.
Gli attori.
In Italia solo la fica è diversa ogni anno, ed è sconosciuta. Certo, con i potenziali bocchini per farsi raccomandare, è divino accedere sempre al bacino delle nuove scoperte. Mentre i maschi no, devono essere sempre: Scamarcio, se fai un film nuovo, moderno e giovane; Verdone, se è comico ma di lusso; Castellitto, se deve essere un po’ sbarazzino, d’autore ma versatile. Non è Orlando, che fa sempre rima con Moretti («Che, ’a bira Moretti?». «No, er reggista». «Ah, me pareva, ammé»). Questo film purtroppo è nuovo, moderno e giovane, comico ma di lusso, un po’ sbarazzino, d’autore ma versatile. Quindi ci sono tutti e tre gli stronzi sopraccitati.
Ora mi domando, perché quegli incapaci di Scorsese e Coppola, dei Signor Nessuno se non giusto in Oklahoma e West Virginia, da giovani – e ancor più sconosciuti – lottavano per attori bravi e novellini? Perché Coppola ha rifiutato Redford per volere a tutti i costi tale Al Pacino? Un “pizza e mandolino”? Perché? Ma che stronzo è Scorsese, che in Manhattan Driver, in Big Apple Taxi, in Xmas In Taxi, in A Checker Cab In Manhattan The Fabulous Big Apple ha scritturato quel tal De Biro, De Niro?
’Sto coglione di sicuro sarà sparito dopo aver girato Gone With The Wind In A Manhattan Taxi. Per forza, o usi John Wayne o sei un pirla.
Vomito, delirio, odio, vendetta, colera, puzza di diarrea.
Veronesi è il cancro del cinema.

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Alfredo Traps

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