ChantSong Orchestra - Indie Mood
Jazz e indie rock, così lontani eppure così vicini, almeno nella mente di Igor Sciavolino, che ha messo insieme questa ChantSong Orchestra (nata nel 2006 come costola del progetto Jazz in Cantiere) e l’ha accompagnata attraverso un paio di esibizioni dal vivo, sino alla realizzazione di questo disco.
Indie Mood, che sulla carta poteva risultare un’operazione di maniera, tanti nomi famosi per un disco anonimo, è diventata invece un’operazione con i controcazzi, che mette insieme il meglio di quello che la musica indipendente italiana ha prodotto negli ultimi dieci anni. Quello che ne esce non è una rilettura calligrafica del repertorio, bensì un completo stravolgimento dei brani a cui mettono mano i musicisti; a giovare di questo trattamento destrutturante sono soprattutto le canzoni, prima smontate sino alla loro essenza e poi rimontate in una veste nuova, mischiando parti e scambiando ruoli.
A rendere il disco speciale c’è anche la partecipazione diretta di chi questi classici li ha scritti e ha scelto di assecondare la vena jazz data dall’orchestra ai propri pezzi, oppure di reinterpretare liberamente pezzi altrui, scambiandosi il repertorio e offrendo un’ulteriore nuova luce alle canzoni.
Le vere sorprese giungono proprio da questi episodi: ecco allora Cristina Donà fare sua Disco Labirinto dei Subsonica e giocare con le corde vocali sino a rendere il pezzo un dialogo a più voci (qualcuno ha colto la citazione contenuta all’interno di questa versione?). Emidio Clementi spoglia Voglio Una Pelle Splendida degli Afterhours della sua linfa salvifica e la riveste di malinconia e rimpianto. Festa Mesta dei Marlene Kuntz viene stravolta dalla tromba irrispettosa di Roy Paci. Ma la sorpresa più bella è Aldo Nove, qui nell’inconsueta veste di voce narrante, che regala un suo testo inedito allo strumentale di Federico Squassabia. Forse il momento più alto del disco.
Anche quando si è trattato di riprendere un proprio brano, il risultato è stato all’altezza delle aspettative: Cristiano Godano fa scivolare la sua voce sull’arrangiamento intimista di Lieve, Emidio Clementi (l’unico, insieme a Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus, presente in due brani) abbandona l’urgenza comunicativa con cui aveva cantato la prima volta Il Primo Dio, ma ne mantiene intatta la forza e la passione con cui canta di quello scrittore sfortunato e misconosciuto che fu Emanuel Carnevali.
Alla fine quello che rimane non è una sorta di best of dell’indie italiano, ma un disco che vive di vita propria e che cresce a ogni ascolto. E di questi tempi non è poco.
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