Piero Pelù – Live @ Fillmore, 15/03/2007
Quando mi hanno detto che Piero Pelù si metteva a cantare le canzoni dei Litfiba, in uno spettacolo di due ore e mezza, non ci volevo credere.
Mi state dicendo che posso sentire quelle canzoni che hanno fatto da colonna sonora a praticamente tutta la mia vita? Eroi Nel Vento, sì?
Bambino? Scherzate?
Cerco su Internet le scalette dei concerti precedenti e sogno. Pare che faccia Tex, tra le altre. Wow.
Non solo.
Se avevo l’acquolina al pensiero di sentire dal vivo canzoni di venticinque anni fa, il fatto che parte del concerto fosse strutturato in versione acustica, beh, sbavavo. Semplicemente.
Un’odissea di ricordi.
Mentre andiamo al Fillmore, giovedì 15 marzo 2007, mi ripasso mentalmente le frasi che vent’anni fa scrivevo sull’Invicta e sulla Smemoranda e sui muri e sui banchi di scuola. Roba tipo «Oltre queste sbarre mi vedrai volare» o «Si può vincere una guerra in due, e forse anche da solo, si può estrarre il cuore anche al più nero assassino, ma è più difficile cambiare un’idea» oppure «È la noia che scava dentro me».
Frasi spesse così, se ci pensate.
Il concerto vorrebbe essere un crescendo continuo, con l’aggiunta di strumenti dapprima acustici, per poi diventare elettrici. Chitarra e voce, per iniziare. Ed è Louisiana, che fa venire la pelle d’oca. Bellissima. La voce di Pelù ti avvolge, come sempre.
Emozionante, a dire poco.
Ma il pubblico non reagisce.
Che siano lì per Toro Loco? Non ci posso credere.
Di canzoni vecchie poi non se ne sentono più.
Ci sono Sparami, Maudit (in acustico è veramente terribile, visto che è strutturata su un bel pedale di la), Animale Di Zona (con il bassista che cappella ben bene), Il Volo, Prendimi Così, Sorella Notte, Tribù, Dea Musica (mai sentita, ma proprio no… Ma proprio, no!!!) e poi Lentezza, Il Velo…
L’effetto è bizzarro.
Perché quando entra il bassista e poi il batterista qualcosa comincia ad andare male.
E mi sembra di guardare una controfigura di Piero Pelù che canta, compresso in pantaloni strettissimi, che si muove senza senso.
Erano lontani, mentre suonavano.
Freddo tutto quanto.
Non cambia granché quando entra in scena una Les Paul.
Pelù annuncia un pezzo che ci farà saltare il culo pesante (a quanto pare il pubblico non ne vuole sapere di reagire) e attacca con Ritmo.
Merda. Quella no.
E poi Regina Di Cuori, Lacio Drom, Spirito.
E poi una serie di canzoni sue che lasciano ben poco in questa sera.
Non è la prima volta che vado a un concerto senza sapere cosa mi trovo di fronte.
A prescindere dalla (discutibilissima, peraltro) scelta della scaletta, al Fillmore Pelù non ne aveva voglia. Ecco qua.
E non c’era una goccia di attitudine rock, nella cosa.
Perché non puoi chiudere con Toro Loco.
Perché non puoi non fare neanche il bis.
Perché non puoi andartene così.
Venti euro non sono pochi.
Perché in altre date hai fatto Resta, e qui hai chiuso con Toro Loco, dio mio, quando in scaletta c’era El Diablo. E hai annunciato Toro Loco dicendo che avresti suonato un pezzo che parla di una cosa che abbiamo dentro tutti.
Il toro loco.
Ma perché dovremmo avere dentro il toro loco, proprio questo mi sfugge.
E lì, solo a quel punto, ho capito che non ci siamo capiti proprio.
O meglio. Non ci si capisce più.
Peccato.
Torno a casa un po’ giù. E mi aggrappo a quel pezzo che dice che l’orizzonte è nello specchio, l’orizzonte è dentro me…
Foto di Guido Ruggeri
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