Cinema Cremona

Musikanten

Proiezione del film e incontro con Franco Battiato al Cinema Tognazzi, 17/11/2005

Gran bella serata culturale, quella di giovedì 17 novembre al Cinema Tognazzi. In occasione dell’apertura di Dialoghi Sonori 2006 e del decimo compleanno del Salone dello Studente, Cantiere Sonoro, in collaborazione con vari enti locali, ha organizzato una proiezione del nuovo film di Franco Battiato, Musikanten, arricchita dall’incontro con il cantautore prima della visione.
Attesa nemmeno troppo lunga per me, la mia Pupina e le tante altre facce note (tra cui Andrea Cisi e la sua Pupina) che riempiono completamente la sala del Tognazzi (e qualcuno è pure rimasto fuori dal cinema, a conferma dell’ottima risposta di pubblico all’iniziativa). Battiato percorre i gradini laterali della sala, seguito da Marco Allegri di Cantiere Sonoro, e viene subissato dagli applausi fino a che i due non siedono al tavolo della conferenza allestito davanti allo schermo. Purtroppo manca Manlio Sgalambro, filosofo, amico e collaboratore di Battiato nei suoi ultimi progetti, sia musicali che cinematografici (Battiato è alla sua seconda opera come regista, dopo l’esordio con Perdutoamor del 2003). Oltre a essere cosceneggiatore del film, Sgalambro interpreta anche una piccola parte nelle vesti di narratore.

A introdurre la serata sono Rilly Segalini e l’Assessore Celestina Villa, che, dopo i ringraziamenti di rito, lasciano il microfono ad Allo, il quale (risolti alcuni problemi audio) rivolge a Battiato alcune domande: il perché della scelta di Alejandro Jodorowsky, che attore non è, come protagonista del film nella parte di Ludwig van Beethoven; come ci si trova alla fatidica seconda prova cinematografica e perché si sceglie di raccogliere questa sfida; spiegazioni sull’utilizzo di particolari tecniche di ripresa dall’effetto mistico-onirico; il perché di un percorso intrapreso in una direzione scomoda, cioè di un cinema così non convenzionale.

Battiato risponde in modo articolato e interessante a ciascuna delle domande: per prima cosa ribalta la prospettiva in merito alla scelta dell’attore protagonista, affermando che senza Jodorowsky a interpretare Beethoven forse il film non si sarebbe nemmeno fatto. Lo stesso vale per la scelta di altri attori non professionisti. In secondo luogo, spiega che è dal primo giorno sul set del suo primo film che si trova perfettamente a suo agio nel ruolo di regista e nei rapporti con gli attori: il mezzo cinematografico lo affascina, gli è congeniale, gli sembra un ottimo veicolo comunicativo. Parla poi delle macchine da presa utilizzate nel film, da costosissime cineprese americane (soltanto affittate) a una più economica e piccola macchina digitale, spesso utilizzata per degli insoliti primi piani ripresi dal basso. Nel film si potranno facilmente distinguere i momenti in cui entra in gioco questa particolare macchina. Parla poi del suo cinema, del suo disinteresse per le storie che piacciono al pubblico “di cassetta”, del suo rifiuto di una narrazione convenzionale o hollywoodiana, del fastidio verso la figura cinematografica del campo/controcampo, dell’insofferenza verso il cinema che ripropone immagini di violenza come quelle da cui siamo bombardati attraverso la televisione (qui, tra i vari nomi, cita Quentin Tarantino come emblema di questo tipo di cinema. Non sono affatto d’accordo: la finzionalità caricaturale della violenza nel cinema tarantiniano si discosta in modo troppo netto dalla realtà per poter pensare a una sovrapposizione anche minima tra i due livelli). In ogni caso, Battiato afferma di volere altro dal cinema, di farsi bastare un’immagine con un campo medio di Beethoven che di spalle si allontana nel silenzio (scena che qualcuno potrebbe considerare “troppo poco”). Ho invece un tremito nel vedere con quale coraggio, davanti alle telecamere e a tanti testimoni, e parlando appunto delle immagini televisive di violenza, Battiato insulta pubblicamente («Bastardi») i poliziotti americani che hanno massacrato di botte un nero, settantenne, con la scusa: «Era ubriaco». E qui lo sdegno si fa grande, con Battiato che adotta il discorso diretto, come se si trovasse fisicamente davanti alla scena: «Ma smettetela, non vedete che è a terra?». Grande Franco, mi limito a pensare. Torna poi al film, alla struttura simile a un componimento di musica classica, con una testa e una coda ambientate nel presente e con una parte centrale che corrisponde alla regressione mentale nel passato. Un trip, praticamente. In mezzo a queste risposte, Battiato fa stare anche una digressione sulla critica cinematografica attuale (il suo film, presentato a Venezia, è stato, come si dice, “stroncato”), portando qualche esempio sulla nullità di tanti critici presenti a Venezia (l’aneddoto più grottesco riguarda la domanda al geniale regista giapponese Takeshi Kitano: «Secondo lei, perché i giovani giapponesi si colorano i capelli?». «Non so, me li coloro anch’io…», risponde un po’ spaesato il quasi sessantenne ossigenato Beat Takeshi).
Purtroppo manca il tempo per le domande da parte del pubblico (peccato, avrei forse voluto saperne di più sul breve cameo del grande Antonio Rezza, «l’irraggiungibile», nella parte di sé stesso). Chiudendo con la speranza che la platea apprezzi il film, Battiato esplicita la scelta antirealistica di far morire Beethoven tra candide lenzuola (anziché nel degrado più totale, come in realtà avvenne), fa un virtuale “inchino da seduto” (ma l’ampio gesto del braccio è del tutto eloquente) al compositore e a noi del pubblico, si alza e percorre in senso inverso l’altra gradinata della sala del cinema, sommerso da ancor più applausi di quando era entrato. E gli applausi li becca, giustamente, anche Allo.

Poi, luci spente, e film: un’autrice di programmi televisivi ha in mente un nuovo format, ogni puntata del quale dovrebbe essere incentrata su grandi personaggi dei nostri tempi. Uno dei primi “cervelloni” a essere contattati è un santone-eremita capace di far rivivere a una persona le proprie vite precedenti. La protagonista si sottopone a questo processo di regressione spirituale e vive una specie di sogno (la parte centrale del film) nel quale lei è un principe (maschio) amico di Beethoven. Da lì, uno sguardo sul declino (sordità, malattia, morte) dell’immenso compositore tedesco.

Ma non è la trama del film a contare: la pellicola battiatiana (come suona ridondante!) è un esercizio di stile, lancia qualche concetto ma è soprattutto bella da vedere, come un paesaggio catturato in un quadro. Battiato lo aveva detto: il suo film è quasi pura estetica, non c’è interesse per il racconto come successione di eventi, un filo che percorre il film esiste, ma è molto leggero, sottile. A me Musikanten è piaciuto proprio per questo: come ho suggerito a molti, è un film che non dice quasi niente. Ma lo dice molto bene.

Riguardo l' autore

McA

Si registra sul Forum di Cremonapalloza in data 01/02/03 senza farlo apposta e senza sapere che quel momento costituirà davvero un nuovo «Via!» della sua vita.
Nel 2006 è tra i fondatori dell’Associazione Cremonapalloza, di cui ricopre da sempre il ruolo di Segretario.
Ama il cinema, il rock e la Cultura in generale.

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