The Rolling Stones – Live @ Stadio Giuseppe Meazza, Milano, 11/07/2006
Antefatto: come dice mia cugina, io sono il fottuto Gastone. Non mi attivo per andare al concertone? Ok, il concertone mi casca in testa. The Rolling Stones a San Siro il 22 giugno? Non se quel genio di Keith Richards (probabilmente la più grande rockstar mai esistita, o comunque la più grande rockstar esistita per più tempo), per fare il deficiente su una palma, vola giù procurandosi una simpatica emorragia interna alla crapa. Concerto rinviato all’11 luglio, tra l’altro apertura dell’A Bigger Bang Tour 2006. Tra i tanti che già si erano liberati per il 22 giugno, e che hanno dovuto invece rinunciare alla data posticipata, c’è anche Paolone, che dunque mette in vendita su Cremonapalloza due succulenti biglietti per il prato 1, di fronte al palco. Appena vedo l’annuncio, gli telefono e glieli blocco. 80 € a biglietto, che è il normale prezzo d’acquisto. Mi sembra una somma equa, d’altro canto è giusto supportare i gruppi emergenti. Chiamo la donna, per sapere se viene con me. Sì? Bon.
Intanto, il 9 luglio, l’Italia è campione del mondo. Qualche giorno prima, allo sbarco a Milano, Mick Jagger aveva pronosticato la nostra vittoria sulla Francia. Non ha centrato il risultato esatto come nel 1982, però sta di fatto che c’ha portato fortuna ancora una volta. E, nella serata del delirio azzurro collettivo, il mio pensiero, tra i mille altri, va anche al concerto di due giorni dopo. Godo al pensiero di un possibile Mick con la maglia numero 3 del vero uomo-Mondiale, Fabio Grosso.
Arriva il grande giorno. Si va a Milano in macchina. Quartetto: Claudia (la donna), Eleonora (mia cugina), Stefano (il ragazzo di mia cugina) e io. Eleonora e Stefano hanno due biglietti per il terzo anello. Si parte nel primo pomeriggio: la cassettina che gira nell’autoradio (e sarà sempre quella a ripetizione, anche al ritorno) è la Audiocassetta Prostituta 2, così chiamata da mia cugina. L’etichetta dice esattamente: «Da Vergine che era, ora il suo utilizzo consiste nel registrarvi contenuti momentanei». E infatti contiene: tutto il capolavoro degli Stones Sticky Fingers (per intenderci: l’album con Brown Sugar e Wild Horses); una parte del primo disco dei Rumori Di Fondo, di cui Stefano era il cantante; qualche minuto registrato da un radiogiornale.
Il tragitto non presenta complicazioni, non c’è particolare traffico, si arriva allo stadio comodi. Decidiamo di entrare subito, per beccarci i posti migliori, e ci separiamo da Ele e Stefano augurandoci reciprocamente un buon concerto. C’è ancora relativamente poca gente, quindi Claudia e io ci piazziamo centrali, in decima fila o giù di lì, leggermente sulla destra, in zona-Keith, insomma. Il palco è spropositato, ed è veramente vicino.
Alle quattro e venti circa, mi arriva un messaggio dal Prof. Anteguerra. Dice: «È morto Syd Barrett… Domani canteremo la Wish You Were Here più significativa della storia…».
Ho un attimo di sconforto misto a incredulità. Il Prof. Anteguerra e io, il giorno dopo, saremo a Lucca a vedere Roger Waters, ex leader dei Pink Floyd e fondatore del gruppo assieme al “Diamante Pazzo” Syd Barrett. Questo sms, nei miei ricordi, legherà per sempre e indissolubilmente le due giornate dell’11 e 12 luglio 2006. Poco dopo, ci si sente via telefono con mia cugina, per cercare di localizzarci e salutarci dal terzo anello al prato. Scelgo di non dirle nulla: per Syd, lei e Stefano hanno una venerazione più viscerale della mia. Meglio far godere loro il concerto degli Stones, lasciandoli in un’ignoranza che mai fu più beata. A forza di sbracciarci e saltare, riusciamo a vederci ed esultiamo.
A fianco a noi due, vedo poi tre ragazzi con la stessa maglietta. Il nome del gruppo scritto sulla schiena mi sorprende: The New Dealers, un gruppo che inserisce da tempo i propri concerti su Cremonapalloza! Mi avvicino e ci conosciamo: loro sono di Crema e Castelleone e suonano prevalentemente cover degli Stones, con un occhio di riguardo ai pezzi più blues. Il gruppo è attualmente formato da sette elementi. ’Sti ragazzi sono dei rocker! Dico anche a loro di Syd, dopodiché non ci penso più. Fa un gran caldo, ma potrebbe andare peggio: la struttura di San Siro è così imponente che anche in pieno pomeriggio siamo tutti all’ombra.
Un’altra graditissima telefonata mi arriva dal primo anello: è il quartetto di rocker grandiosi formato da Gio Vox, Ricky, Edo e Marco (quattro cugini, non bastassimo Ele e io). Anche in questo caso, dopo un po’, ci si individua gli uni con gli altri e si festeggia. Addirittura Claudia riesce a immortalarli a distanza con la sua fotocamera digitale nuova fiammante, comprata giusto il giorno prima, divertendosi poi a fotografare tutti i fan che le piacciono di più: spiccano la maglietta di un ragazzino, con scritto Who the fuck is Mick Jagger?, e la camicia rossa con i teschi bianchi di un vecchio rocker.
Arrivano le 19:30 e, puntuale, attacca a suonare il gruppo spalla: sono i pessimi Feeder, quattro pirla fastidiosamente power pop, che qualche anno fa avevano infilato un singolo orecchiabile. Disinteresse totale per i 40 minuti di set. Stop alle otto e dieci, con il pubblico più occupato a cantare il tormentone nazionalpopolare ricavato da Seven Nation Army (The White Stripes), che ad ascoltare l’opening act.
Va detto che lo stadio è farcito di bandiere tricolori come se davvero dovesse giocarsi una partita della Nazionale. L’adrenalina per la vittoria mondiale è altissima e Le Pietre Rotolanti sapranno sfruttarla a loro favore.
Gli elementi che più contribuiscono a rendere il palco mastodontico sono le quattro passerelle, due di qua e due di là, che consentono a un centinaio di fortunelli (estratti a sorte tra tutti quelli che avevano inviato un sms) di assistere al concerto da un’insolita posizione: da sopra, leggermente da dietro, leggermente di lato. I suddetti fortunelli ci salutano dall’alto: dal prato è un dito medio unico. Brutta bestia, l’invidia.
Alle nove e dieci comincia lo show! Sul maxischermo viene proiettato un video pirotecnico e coloratissimo, sul fronte palco esplode una fila di fuochi d’artificio e, nell’eccitazione collettiva, fa il suo ingresso sul palco Keith Richards, che ci ammazza subito con il riff di Jumpin’ Jack Flash. Delirio! Dietro ci sono Ronnie Wood e l’immarcescibile Charlie Watts, che scandisce i suoi 4/4 più preciso di un metronomo e, dopo quarant’anni e passa, si ostina a non suonare il charleston quando batte sul rullante. All’ingresso di Mick Jagger, il secondo boato generale (siamo in sessantamila infoiati). Tutti a cantare tutto il classicone di apertura, a cui fa seguito immediatamente un’altra pietra miliare: It’s Only Rock ’N’ Roll (But I Like It). Potrebbero essere le due migliori canzoni di chiusura di qualunque concerto rock; gli Stones le fanno per prime, tanto di pezzi leggendari ne hanno da vendere. Che idoli.
Mick, in italiano: «Buonasera, Italia!».
Noi: «Yeah!».
«Siamo molto felici di essere qui a Milano!».
«Yeah!».
«Italia campione del mondo! Congratulations!».
«Yeah!».
«Materazzi e Del Piero sono qui!».
«Yeah!».
«Materazzi e Keith Richards hanno qualcosa in comune: entrambi di recente hanno avuto problemi di testa!».
Boato divertito della folla.
A seguire un pezzo dell’ultimo disco, Oh No, Not You Again, e un altro cavallo di battaglia: Let’s Spend The Night Together, dal ritmo tirato che fa rockeggiare a mille la platea. Dopo Tumbling Dice, Mick imbraccia la chitarra per il lentaccio strappalacrime del nuovo album: il vocalizzo di Streets Of Love è stonesiano al massimo e, se si fa lo sforzo di giudicare la canzone al di là dell’inflazionamento cui è stata sottoposta, ci si accorge che è davvero un bel pezzo, che non ha (quasi) niente da invidiare alle più dolci ballate degli anni ’60 e ’70. La donna si commuove. Che carina.
Poi tocca a me sciogliermi: Keith e Ronnie alle acustiche, Richards si avvicina a Mick, si siede su uno sgabello e attacca gli accordi di Con Le Mie Lacrime, la versione italiana di As Tears Go By, che Le Pietre Rotolanti suonarono a Sanremo giusto quarant’anni fa e che viene proposta dal vivo forse per la prima volta in assoluto. Finale: «Il sole sta per tramontar / Un altro giorno se ne va / Tutti si divertono / Ed io son qui / Con le mie lacrime così». Brividi.
Poi ci sono Midnight Rambler e soprattutto Night Time Is The Right Time, omaggio a Ray Charles, con la corista stereotipata (nera, tettona, voce mostruosa) che si prende la scena con impeto. Sulla passerella di destra, guardando il palco, entra un favoloso quartetto di fiati. Maxischermo con il faccione sorridente di Ray. Bellissimo tributo.
È il momento di Keith. Mick esce sul retro del palco, lasciando il suo chitarrista al centro dello stage. Before They Make Me Run di riscaldamento, suonata con quel tocco unico, inimitabile, sintesi di pigrizia e potenza. Prima del brano successivo, pausa. Keith si accende una sigaretta, butta lì un paio di frasi sconnesse, sia in inglese sia in italiano. Capisco solo «Campioni del mondo».
Poi il vecchio Keith si interrompe a metà frase.
Tiro di siga, lunghissimo, e risatina tossica.
San Siro esplode in un boato di adorazione.
Il concetto di rock’n’roll.
Sapere che nel mondo ci sono almeno altri sessantamila deficienti come me, che credono non solo nei riff di Keith Richards, ma anche nei suoi lunghissimi tiri di siga e nelle sue risatine tossiche, mi fa felice.
La successiva Slipping Away serve a riprendersi dallo stordimento dovuto a questa scena memorabile e ad apprezzare la voce di Keith, che ha un timbro niente affatto banale.
Rientra Mick e, nell’entusiasmo generale, comincia Miss You: «Ooh ooh ooh ooh-ooh-ooh-ooh / Ooh ooh ooh ooh-ooh-ooh-ooh / Ooh ooh ooh-ooh»…
Flashback: The Rolling Stones a San Siro, anno 2003. Dal centro del palco partiva una passerella lunga e stretta, tipo sfilata di moda, che terminava in un piccolo palchetto, nella zona di prato più vicina alla tribuna centrale. Su quel palchetto erano state eseguite un paio di canzoni.
Si vede che era troppo poco. Conto alla rovescia. Tre, due, uno…
Ritorno al presente: «Ooh ooh ooh ooh-ooh-ooh-ooh / Ooh ooh ooh ooh-ooh-ooh-ooh / Ooh ooh ooh-ooh»… La zona centrale del palco si solleva e comincia a scorrere in avanti, portandosi dietro i quattro del gruppo, più bassista e tastierista. La struttura si sposta su un binario e si ferma davanti alla tribuna.
Insomma, il pezzo funkeggiante, che era cominciato davanti a noi, finisce a qualcosa come cinquanta metri alle nostre spalle. Chi non sapeva di questa faraonica diavoleria non avrebbe certo potuto immaginarla. E là in fondo ci stanno per un bel pezzo, gli Stones: il tempo della recente Rough Justice e della stupenda e maledetta Under My Thumb (il brano durante il quale un ragazzo del pubblico fu accoltellato a morte nel tragico concerto di Altamont ’69).
Poi, la leggendaria Honky Tonk Women. Prendo la donna e la piazzo a cavalcioni sulle mie spalle, nella migliore tradizione del Vero Pubblico Rock®. Ormai la gente è tutta girata verso il palco periferico, quindi sono le luci e il rumore ad attirare la nostra attenzione di nuovo sul palco principale: un gigantesco pallone a forma di linguaccia si sta gonfiando davanti al maxischermo. Assurdo, grottesco, insensato, ridondante, superfluo: in una parola, amazing.
Intanto, la canzone si chiude, mentre il palco mobile ritorna al quartier generale. Vista e udito sono iperstimolati. Come faccio a descrivere il divertimento?
«Ooh-ooh ooh-ooh ooh-ooh ooh-ooh»: Sympathy For The Devil. Ma dov’è Mick? Ah, eccolo là, a sei o sette metri d’altezza, sulla passerella centrale! Corre da un capo all’altro, agghindato con cappello e lunga pelliccia, canta, si muove sinuoso, si mette in posa, punta il dito contro di noi, dominandoci con stile. Davvero c’è ancora qualcuno che non crede che Mick sia Satana? A me pare così ovvio.
Il primo finale è inenarrabile (come se fin qui avessi scritto di un concerto normale…). Start Me Up.
Sapete quando si dice che un riff è incendiario?
Ecco, di norma si parla in senso figurato.
Di norma.
La chitarra di Keith: naa-na-na.
Dieci o dodici fiamme, alte qualche metro, si innalzano dal fronte palco verso il cielo. Abbiamo sentito la botta di calore dalla decima fila. Non scherzo. Increduli ed eccitati allo stesso tempo, cantiamo a squarciagola e battiamo le mani. Ma non basta. Keith ha deciso di cuocerci fino alla bruciatura. Attacca Brown Sugar e ho veramente esaurito tutti i dannati sinonimi. Non ci sono parole. Sbalorditi e confusi, ecco come siamo, in sessantamila. Il mio pezzo preferito, con le chitarre sguaiate e i fiati a mille, chiude il concerto. Buio a San Siro.
Le impalcature giganti ai lati del palco si colorano di luci verdi, bianche e rosse. Sul maxischermo viene proiettato un video, sarà un minutino, ma vale una vita: i sei gol italiani (il gol sul campo e i cinque rigori) della finale mondiale, montati uno dopo l’altro, senza alcun commento. O meglio, il commento c’è: siamo noi a salutare ogni gol con un «Olé!» corale. Poi, le immagini dei festeggiamenti immediatamente successivi alla vittoria. E i vecchi leoni rientrano sul palco per ruggire ancora (Old lions roar again, diceva lo striscione secondo me più bello di tutti). Ronnie Wood, direttamente sul torso nudo, indossa una terribile felpa verde, con sopra disegnate le righe bianche di un campo da calcio. Idolo. Vado pazzo per queste stronzate.
Il bis si apre con You Can’t Always Get What You Want (tutti assieme a cantare con Mick). Sento due dita che mi picchiettano sulla spalla: è Silvia, una ragazza di Cremona della cui presenza al concerto avevamo saputo la sera prima! Lei aveva i biglietti per il prato 2, ma verso la fine è riuscita ad accedere al prato 1. Ciò che mi stupisce non è questo, quanto piuttosto il fatto che alla fine ci siamo davvero beccati nella bolgia, come avevamo scherzosamente pronosticato. Grande!
Il concerto si chiude con (I Can’t Get No) Satisfaction, che dura un sacco. L’hanno cantata anche le poltroncine numerate della tribuna vip. Il finale è così assurdo che tanto vale raccontarlo in modo asettico. Il mio consiglio è di provare a immaginare il tutto nel modo più esagerato.
Tutti i musicisti si inchinano abbracciati.
Jagger, Richards, Watts e Wood si inchinano abbracciati.
Materazzi e Del Piero arrivano sul palco, ridicoli e tamarrissimi nelle loro canottiere aderenti col tricolore.
I due giocatori consegnano un paio di maglie azzurre agli Stones.
Frizzi, lazzi e Materazzi, che piglia il microfono e ci fa cantare «Siam campioni del mondo» e «Chi non salta è un francese». D’altronde è uno degli eroi del Mondiale, concediamogli di essere un idiota patentato. Del Piero sta dietro, col sorriso ebete.
Rockstar e calciatori salutano calorosamente e se ne vanno.
Assistiamo all’ultima animazione sul maxischermo, la classica linguaccia.
Altre esplosioni e fuochi d’artificio, sia davanti sia dietro al palco. Dalla cima dell’impalcatura dello stage (a cui sono appesi) cadono una miriade di nastri dorati. Luci blu elettrico illuminano le enormi passerelle, ed è davvero la fine.
Wow.
Che show.
Sono rintronato, felice, stanchissimo ma adrenalinico al tempo stesso (sensazione nota a tutti, credo: sei spossato, ma senti di avere le energie per un altro intero concerto), assetato.
Defluendo verso l’uscita con la donna, canticchio Brown Sugar e saluto i Dealers. Ci terremo in contatto via mail.
Ci avviciniamo ai banchetti con il merchandising ufficiale, per comprare la maglietta del tour da dare a Paolone. Odissea, ma alla fine ce la facciamo.
Telefonatina a Gio Vox: «Dove siete?». Bip. Fine dei soldi sul cellulare. Sfiga! Non mi richiamano. Niente, abbandono l’ipotesi di beccare Gio, Ricky, Edo e Marco. Poco male, ci si era già salutati all’interno dello stadio, però sarebbe stato bello un post concerto anche con loro.
Nel piazzale di San Siro incrocio un altro volto noto, quello di Roberta. Lei mi loda davanti al ragazzo che la accompagna, definendomi «rockstar locale». Io mi bullo per aver visto il concerto dal prato 1 e le prometto che le passerò le fotografie.
Ci si ritrova alla macchina con Ele e Stefano. Abbraccione alla cugina (che sfoggia la maglietta appena comprata), qualche chiacchiera surreale e si torna a Cremona.
Autoscatto documentaristico finale totale globale e poi a nanna, ché tra qualche ora siamo già in piedi per andare a prendere il treno per Lucca.
A casa mia, caffè con Claudia, che deve guidare ma crolla dal sonno…
Poi, già in nottata, Ele mi telefona per darmi annuncio della morte di Syd Barrett, scoperta in rete proprio sul Forum di Cremonapalloza. Le rivelo che già lo sapevo.
Preparate due cose a caso per il giorno dopo, vado a letto. Sono le 03:30. Palindromo.
Punto la sveglia per tre ore dopo.