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Marlene Kuntz – Live @ Fillmore, Cortemaggiore (PC), 25/04/2005
Venticinque aprile duemilacinque. Ogni angolo d’Italia festeggia sessant’anni di Liberazione dall’occupazione nazista. Sacrosanto. A Piacenza, il cartellone delle celebrazioni prevede musica dal vivo a conclusione della giornata della memoria. Musica in abbondanza. Di qualità. Assolutamente gratis. Il nome di spicco è di quelli da non mancare proprio: Marlene Kuntz. Gli ingredienti ci sono tutti, c’è perfino un po’ di suspense, alimentata da pioggia e nuvole che minacciano Piazza Cavalli fino a obbligare l’organizzazione a trasferire la festa altrove. Ospita il Fillmore, Cortemaggiore.
Si respira un’atmosfera particolare, nel locale. La si percepisce già entrandovi, senza nessun biglietto da fare, senza dover tirar fuori un solo centesimo. Perfino i buttafuori sembrano più buoni. Tutto molto libero, in perfetta sintonia con ciò che si vuole celebrare e ricordare. E un oceano di gente. Così tanta che molti resteranno fuori. Così tanta che dentro si fa fatica a respirare. E si fa pure la sauna gratis. Ma va bene così.
Pronti via. Prima il dovere, poi il piacere. Il dovere di ricordare, il piacere di partecipare alla festa. E così, secondo un’altalena che pian piano unisce i due intenti finendo per fonderli, sul palco si susseguono gli interventi commemorativi mentre dai proiettori scorrono le immagini delle lotte partigiane. La gente applaude e aspetta i Marlene. Prima di loro, sul palco, salgono però Okosama Starr e Deportivo La Bonissima, vincitori del festival Cosa importa se ci chiaman banditi. Mezz’ora a disposizione per cantare la Resistenza secondo i canoni musicali e stilistici tipici del gruppo, e la soddisfazione di esibirsi davanti a un pubblico quanto mai numeroso.
Undici e zerozero. Si spengono le luci. Si accendono, bianche, piccole lampade, sul palco, sopra gli amplificatori, a fianco della batteria, per terra, a incastrarsi tra le sagome di quei cinque. Cristiano Godano, Riccardo Tesio, Luca Bergia, da quindici anni Marlene Kuntz. Gianni Maroccolo, al posto che fu di Dan Solo. Rob Ellis, al posto di nessuno, seduto davanti a una tastiera che non c’era mai stata. Le prime note, quelle di Bellezza, primo singolo dell’ultimo disco, le suona lui. Partenza soft. Ma è un’illusione. Cenere, Ape Regina, Sonica. Subito. Cara È La Fine, Canzone Di Domani, Festa Mesta. Subito dopo. Tanto per scaldare l’ambiente, come se ce ne fosse stato bisogno. Tanto per far capire quanta voglia c’è ancora di inchiodarti a terra giocando con feedback e volumi al limite, grida e sudore, impeto e violenza sonora. Tanto per far capire che si può mutare nel tempo con la voglia e il gusto di non sperdere ciò che si era prima. Tanto per dire che si perde il pelo ma non il vizio, che gli anni in più sulle spalle non pesano come qualcuno sostiene. Con gli affezionati dei primi, vecchi, irruenti Marlene a bocca aperta, ad assistere almeno per una sera alla fuga dei rimpianti, ad applaudire ciò che speravano ma che tacitamente non si aspettavano più.
La curiosità di ascoltare live i brani di Bianco Sporco viene assecondata lentamente e, alla fine, in buona dose. Amen, L’Inganno, Poeti, La Cognizione Del Dolore, A Chi Succhia, Mondo Cattivo, oltre a Bellezza, quelle inserite in scaletta. L’emotività che sprigionano nel disco non viene perduta in quantità, l’impatto live le impreziosisce nella resa. Si fanno godere, decisamente. A completare l’esibizione, che alla fine farà registrare oltre venti (venti!) canzoni, sono episodi pescati nell’ormai sterminato repertorio Marlene, senza tralasciare nemmeno un disco e regalando alcune gemme raramente ascoltate, anche dai sostenitori più fedeli. E così E Poi Il Buio e Primo Maggio, al fianco delle intramontabili 1º 2º 3º e Ineluttabile e delle più recenti Danza e A Fior Di Pelle. La perla, Schiele, Lei, Me, completamente rivisitata con Godano senza chitarra in mano, lasciando ai restanti il compito di ricamare le note per la sua interpretazione.
Una e zerozero. L’oceano di gente ringrazia per le due ore intense. MK vale la pena, ancora.
Nonostante i dieci anni in più. Nonostante il cammino musicale intrapreso con gli ultimi dischi non si lasci preferire da molti. Nonostante Dan Solo non ci sia più e, anche se in quanto a capacità musicali il buon Gianni Maroccolo possa reclamare superiorità rispetto ai suoi predecessori, la presenza scenica non sia quella di prima. Nonostante quel nuovo strumento sul palco, quella tastiera di Rob Ellis, che se nei nuovi brani si incastra perfettamente, lascia qualche perplessità quando si insinua nei pezzi nati prima del suo arrivo. Nonostante tutto, MK vale ancora. Marlene Kuntz ha inventato uno stile. Il suo. Inconfondibile. Al di là dei dischi più o meno cattivi. Al di là dell’età che aveva, che ha e che avrà. Che piaccia o non piaccia, sarà per sempre lo stile MK. Applausi.
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