La febbre × La febbre = La febbre²

la febbre x la febbre

L’anteprima del film con Fabio Volo al Cinema Padus, 31/03/2005

Quanto mi piace infilarmi alle anteprime dei film senza avere l’invito. Godo triplamente, primo perché vedo un film, secondo perché vedo un film in anteprima, terzo perché vedo un film gratis.
L’ultimo film di Alessandro D’Alatri, La febbre, è uscito in tutta Italia venerdì 1º aprile, ma il regista stesso si è battuto perché i cremonesi, abitanti della città dal nome «onomatopeico» (cito D’Alatri) in cui il film è ambientato, fossero i primi a vederlo. E così è stato, eccezion fatta per un paio di proiezioni per la stampa. Insomma, la primissima proiezione pubblica si è tenuta giovedì 31 marzo, in seconda serata (ore 22:30), al Cinema Padus, con inviti. E già nei giorni precedenti si era accesa la classica polemichetta cremonesotta: infatti, parecchie persone si erano lamentate poiché non avevano ricevuto l’invito, pur avendo preso parte, in un modo o nell’altro, alla lavorazione del film. Leggendo queste cose sul giornale, ridacchiavo tra me e me, memore del fatto che a Bologna (che in quanto a fermento culturale fa un boccone di Cremona), il 14 gennaio 2003, per l’ante-anteprima (davvero: due giorni prima dell’uscita nazionale e un giorno prima rispetto alle altre importanti città italiane: Roma, Milano ecc.) de Il signore degli anelli – Le due torri (che in quanto a successo di pubblico fa un boccone di La febbre), gli organizzatori non erano riusciti a riempire la Sala 1 del Cinema Capitol nonostante gli inviti distribuiti fossero cinquanta in più del numero dei posti a sedere. In un mondo che funziona, cinquanta persone sarebbero dovute stare fuori dalla sala strapiena, a insultare gli organizzatori, sventolando con la manina l’inutile invito. Ma in realtà, un terzo della sala era tristemente vuoto, tanto che molte persone sprovviste del magico cartoncino ebbero la possibilità di entrare in modi più o meno epici (qui ci sarebbe una lunga storia da raccontare, su come il Prof. Anteguerra, Berta e io riuscimmo a intrufolarci nella sala colma di celebrità, dall’ambasciatore neozelandese in Italia al direttore della fotografia del film, con tanto di cappottino scamosciato con cucito il marchio The Lord Of The Rings, a Lucio Dalla. Ma non posso dilungarmi).
Torniamo al discorso principale. Con l’amico Luzzo (con cui la sera prima ero andato a vedere Il mercante di Venezia – bello – e due sere prima The Assassination – bello) mi presento al Padus. Fuori, in strada, transenne in legno messe a serpentone, come se si dovesse arginare la furia delle ragazzine che si strappavano i capelli e piangevano per i mitici The Beatles. Invece gli ospiti, per quanto significativi, sono il già citato regista D’Alatri, il protagonista Fabio Volo (avete presente il luogo comune «Fabio Volo spacca, perché il successo non l’ha cambiato, è rimasto umile, con i piedi per terra»? Be’, è vero. Fabio Volo spacca, perché il successo non l’ha cambiato, è rimasto umile, con i piedi per terra) e la quasi protagonista Valeria Solarino (avete presente il luogo comune «Valeria Solarino l’è ’na gràan fióola»? Be’, è vero. Valeria Solarino l’è ’na gràan fióola). Ridicolmente fuori luogo, le suddette transenne rimangono praticamente vuote, anche perché la gente arriva ordinatamente e fluisce nella sala con la disciplina del corpo dei marines. Insomma, nessuna scena di isterismo collettivo. Ma le transenne fanno tanto evento mondano.
Entriamo nell’atrio, passando per un buchetto non sorvegliato tra due transenne (il gusto di infrangere le regole tanto per infrangerle). Dopo qualche minuto di comoda attesa sui divanetti inspiegabilmente vuoti, mi rivolgo a una signorina con un pacco di inviti in mano e il cartellino sul petto, e le chiedo (testuali parole): «Buonasera. Volevo sapere se alle dieci e mezza, in caso la sala non fosse piena, potranno entrare anche le persone che non hanno l’invito». E lei, gentilissima e sicura: «No, no, non si può». «Ok», faccio io, e mi risiedo sul divanetto. L’amico Luzzo mi fa cenno di andare via. «Aspetta», gli dico.
Alle dieci e venticinque la sala non è piena. Mi rivolgo a un’altra signora con un pacco di inviti in mano e il cartellino sul petto, e le chiedo la stessa cosa. E lei, mediamente gentile e sicura: «No, no, non si può». «Ok», faccio io, e mi risiedo sul divanetto. L’amico Luzzo mi propone di andare via. «Aspetta», gli dico.
Alle dieci e ventotto mi accorgo che c’è Janfree che gira per l’atrio con aria indaffarata, senza pacco di inviti in mano, ma con il cartellino sul petto. Mi propongo in modo più diretto: «Dai, Janfree, facci entrare». E lui, più drammatico della signorina e della signora ma ugualmente sicuro: «No, no, ragazzi, non posso, mi tagliano la gola». Sembra non mettersi bene. Mi risiedo sul divanetto. La speranza è l’ultima a morire.
Alle dieci e trentuno un signore dell’organizzazione si fa sentire: «Dai, ragazzi, tutti dentro». Ah, adesso che hai visto che la sala non è piena, adesso che ti servono corpi per riempire le poltroncine (altrimenti sai che figura con la stampa e la televisione!), ci fai entrare, eh?
Sta di fatto che i pochi stoici rimasti nell’atrio si dirigono in sala senza troppe discussioni, noi due compresi. Platea, seconda fila, ma la prima fila è vuota, quindi siamo proprio più davanti di tutti. Lo schermo è enorme.
Prende la parola D’Alatri, che snocciola alcune frasi retoricissime (ovviamente introdotte dalla premessa «Non è retorica, ma…») su quant’è bella Cremona, su quanto sono accoglienti e ospitali i cremonesi… Dopo la proiezione del film arriverà addirittura a dire che questo suo film è solo l’inizio di una lunga e duratura collaborazione con Cremona. Ora rido di gusto: vediamo se verrò smentito dai fatti. L’ex-Iena (dovevo scriverlo) Fabio Volo, almeno, condisce la non troppo interessante introduzione (ma non si poteva parlare di qualche aspetto del film? No che non si poteva, per i motivi che spiegherò tra poco) con qualche battuta e qualche gesto eloquente (ad esempio, fingendo di piangere per la commozione durante la parte più melensa del discorso del regista). Anche Valeria Solarino dice due parole, in pratica ribadisce le stesse cose dette da D’Alatri, ma almeno lei è bella da vedere.
Come ne esce Cremona? Dal punto di vista strettamente filmico, mi pare sia stato fatto un gran bel lavoro, nel senso che D’Alatri utilizza spesso soluzioni stilistiche abbastanza originali, e questo si riflette anche (se non soprattutto) nelle sequenze in centro: Piazza del Comune è davvero spettacolare sotto l’acquazzone, oppure avvolta dalla nebbia. Insomma, esteticamente Cremona ne esce benissimo. Per essere obiettivi, bisogna però evitare di confondere la causa con l’effetto. Se Fabio Volo (il nome del personaggio è Mario Bettini) barcolla ubriaco fradicio (e anche letteralmente fradicio) per Piazza del Comune sommersa dalla pioggia, uno spettatore non cremonese vede solo Fabio Volo. Noi, invece, teniamo un occhio sul personaggio e uno sulla piazza. Non è tanto Cremona che salta agli occhi, quindi: siamo piuttosto noi da soli che “ci facciamo saltare agli occhi” Cremona. Ma ciò non sminuisce l’affermazione precedente: posto che ci si deve stare attenti, la città nel film è veramente bella.
Ma c’è anche un aspetto narrativo da considerare: nel film, Cremona, e in particolare il personaggio del Sindaco, sono mostrati come l’esemplificazione delle magagne dell’Italia odierna (corruzione, arrivismo, scorrettezze à gogo, filosofia del «Tu fai un favore a me, io faccio un favore a te», burocrazia asfissiante, impossibilità di realizzazione vera per la generazione dei giovani trentenni sognatori… Insomma, un bel panorama); un ritratto tremendamente imbarazzante, soprattutto in virtù della presenza in sala del vero Sindaco, degli Assessori e del Presidente della Provincia. Ecco perché il regista e i protagonisti non hanno nemmeno sfiorato l’argomento “messaggio del film”.
Le cose cinematograficamente belle ci sono: raccordi bizzarri (in uno dei quali ci troviamo ad assumere la visuale soggettiva… Del caffè che sale per la moka), montaggio non convenzionale, sequenze “discotecare” rallentate con sottofondo di musica classica o da camera, la scelta “scomoda” di girare considerevoli porzioni di film al cimitero… Se fosse un’automobile, La febbre sarebbe dotato di alcuni optional mica male.
Il problema è che a ’sta macchina mancherebbero più o meno i freni e le portiere, se non addirittura il motore. Parti basilari, senza le quali non si va lontano. In altre parole, la storia non è male, ma non c’è recitazione (mi è sembrato un po’ meglio degli altri Thomas Trabacchi, l’attore che interpreta Bicio, il migliore amico di Mario Bettini); si ride in vari punti, ma ridiamo solo noi perché sentiamo il dialetto cremonese, non perché le scene siano realmente brillanti. L’unico momento di grande tensione drammatica è la microsequenza dell’esame universitario, nella quale, nella parte dell’assistente del professore, compare, per un paio di esaltanti secondi, il Prof. Anteguerra. Con l’espressione di un uomo che deve salvare l’universo, il Prof. Anteguerra sistema dei fogli. Quel paio di secondi sono cinema puro. Il metodo Stanislavskij portato alle estreme conseguenze.
Totale, se questa fosse una recensione, La febbre si beccherebbe un paio di stelle e mezza, o al massimo tre, considerata la presenza del Prof. Anteguerra. Ma questa non è una recensione, questo è un reportage. Condivisibili, comunque, le parole di D’Alatri (le prendo da un’intervista a La Repubblica) sul messaggio del film. Non si può negare che La febbre sia effettivamente «una dichiarazione di amore e rabbia per l’Italia. D’amore perché è impossibile non amarla. Di rabbia perché si tratta di un amore perennemente contrastato».
Durante i titoli di coda (che hanno come sottofondo musicale la canzone Mentre Tutto Scorre dei Negramaro), noto che compaiono nome e cognome di Janfree. Allora lo rintraccio nella sala che si sta svuotando e gli chiedo spiegazioni: scopro che lui è stato l’uomo che ha scarrozzato in macchina Fabio Volo e gli altri per i vari set della città, durante il periodo delle riprese del film (l’anno scorso). In qualità di autista, al posto di vedere l’anteprima è andato anche lui a cena con regista e attori al prestigioso ristorante Il Violino. Sono tornati verso la fine del film per i saluti finali. Erano tutti ubriachi.

Riguardo l' autore

McA

Si registra sul Forum di Cremonapalloza in data 01/02/03 senza farlo apposta e senza sapere che quel momento costituirà davvero un nuovo «Via!» della sua vita.
Nel 2006 è tra i fondatori dell’Associazione Cremonapalloza, di cui ricopre da sempre il ruolo di Segretario.
Ama il cinema, il rock e la Cultura in generale.

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