Sport

L’essenza del calcio

Parma-Milan 0-0, Stadio Ennio Tardini, Parma, 16/02/2008

C’è un capolavoro della saggistica italiana del Novecento che si intitola Storia critica del calcio italiano, del grande Gianni Brera. L’autore della prefazione al testo ricorda, tra le mille altre cose, le polemiche suscitate dalla celebre «elegia dello 0-0». Brera aveva infatti scritto: «Il calcio è bello e buono se comporta gesti buoni, sia in attacco sia in difesa. Ha quindi ragione – per mero e divertente paradosso – chi teorizza che la partita perfetta sia quella conclusa 0-0, in quanto comporta prodezze difensive almeno pari a quelle offensive». Brera stesso definisce la cosa paradossale, ma rimane il fatto che – personalmente – sono in totale disaccordo. Non so definire la partita perfetta, ma credo che di certo non possa essere quella in cui non sia contemplato il gesto del gol, che nella mia mente rappresenta in fin dei conti l’essenza del calcio (di cui la vita è ottima metafora).
C’è poi un altro capolavoro novecentesco, e questa volta parlo di narrativa inglese. Si chiama Febbre a 90′, di Nick Hornby. Ecco, secondo l’autore, l’essenza del tifo calcistico da stadio. «Un pareggio 0-0, contro una squadra da niente, in una partita insignificante, di fronte a un pubblico insofferente, di tanto in tanto arrabbiato ma più che altro stancamente tollerante, nel freddo gelido di gennaio…».
La partita tra Parma e Milan, giocata sabato 16 febbraio 2008 (ore 18:00) allo Stadio Tardini di Parma e valida per la ventitreesima giornata del campionato di calcio di Serie A 2007/2008, è in bilico tra la replica dei requisiti essenziali proposti da entrambi gli scrittori e, dall’altro lato, la totale disconferma di essi.
Non andavo allo stadio a vedere il Milan da sette anni (oddio, sono già così tanti?). Per questo sospirato ritorno mi trovo con Sdrof e Paolino. Acquistiamo tre biglietti di Curva Sud, per poi fare i conti con l’era degli allarmi e dell’ossessione ottusa per la sicurezza. I controlli all’ingresso sono tre. Al primo, gli steward verificano semplicemente che il nome sul biglietto corrisponda al nome sul documento di identità. Al secondo giro, c’è per terra uno scatolone che è un cimitero di cinture, sequestrate agli spettatori come potenziali oggetti contundenti. Fortunatamente non indosso la cintura; Sdrof sì, ma ha una fibbia piccola, ritenuta – presumo – inoffensiva. Insomma, di questi tempi è meglio andare allo stadio senza cintura. Indossate un paio di pantaloni che non vi calino nel bel mezzo di un’esultanza. Il terzo controllo è una vera e propria perquisa: lo sbirro mi smanaccia un po’, mi fa aprire il cappotto e mi priva del moschettone con cui appendo le chiavi ai jeans. Ma dai! Ricordatevi quindi di lasciare le chiavi di casa in macchina, ché tanto durante la partita non vi servono. Per una frazione di secondo penso al mix letale tra i due oggetti incriminati: ho in testa l’immagine poetica dei tifosi di opposte fazioni che, sulle note di un valzer, si massacrano al rallentatore usando cinture con agganciati moschettoni, in una sorta di versione contemporanea degli antichi duelli tra cavalieri medievali armati di mazze ferrate.
Eccoci finalmente dentro. Gli eroi rossoneri sono in campo per il riscaldamento, la curva si sta riempiendo. Il colpo d’occhio non può essere quello di San Siro in una notte di Champions League, ma il fascino di uno stadio di Serie A è sempre grande. Prendiamo posto abbastanza in alto, in posizione defilata, in modo da avere una visuale quasi orizzontale del campo, simile agli spettatori in tribuna. La curva è divisa da un plexiglas che delimita il settore ospiti, nel quale sono stipati gli ultras rossoneri.
Via. Mister Ancelotti schiera un 4-4-2 classico. Kalac in porta; da destra a sinistra, Cafu, Nesta, Kaladze e Jankulovski in difesa; Gattuso, Emerson, Ambrosini e Serginho a centrocampo; Kakà e Inzaghi in attacco. La formazione del Parma è trascurabile.
Nel primo tempo si giochicchia da una parte e dall’altra. I crociati corrono più dei diavoli (wow, che splendida contrapposizione allegorica, puro stile Guerra Santa), anche perché tanti di loro sono dei baldi giovani, mentre la nostra età media è notoriamente da ospedale geriatrico. In particolare, i brasiliani Cafu e Serginho danno l’impressione di stare giocando a beach soccer tra amici sulla spiaggia di Ipanema. È bello perdersi via seguendo i movimenti di Inzaghi, che si tiene ai margini dell’azione, in linea con i difensori del Parma, pronto a sfruttare come un cobra un mezzo passaggio filtrante qualsiasi. Ma occasioni da gol, quasi nessuna. E allora c’è da raccontare il simpatico folklore da stadio: bersaglio prediletto della tifoseria milanista è Lucarelli, centravanti avversario, da poco gialloblù, appena rientrato in Italia dopo una non esaltante esperienza ucraina. Sarà che il cognome quadrisillabo sta perfettamente in metrica, comunque, come tocca palla, ecco levarsi al cielo il coro «Lucarelli / Figlio di puttana». Per il resto, la bolgia rossonera canta splendidamente per tutta la partita a favore dei propri colori, e non contro quelli altrui. Gli arroganti parmigianotti, invece, ci danno dentro con i cori antimilanisti, o almeno ci provano, ma vengono zittiti immediatamente da bordate di fischi (in casa loro!).
Nel secondo tempo le cose cambiano, e innanzitutto cambiano due undicesimi del Milan. Entrano infatti Pirlo al posto di Gattuso (non ancora in piena forma, dopo un recente stop) e Gilardino al posto dell’ectoplasma Serginho. Ci ridisponiamo dunque con il “rombo” a centrocampo. Pirlo davanti alla difesa; Emerson e Ambrosini in mezzo; Kakà dietro le punte Pippo e Gila. E le occasioni da gol arrivano, ma purtroppo le gettiamo tutte al vento. Pirlo batte una bella punizione ma Bucci ci mette i pugni (il portiere del Parma meriterebbe di prendere mucchi di gol solo per la sua insopportabile maglia numero 5, con la quale mette a dura prova la tolleranza degli amanti del calcio). In seguito, Inzaghi si libera in posizione vantaggiosa ma tira addosso al portiere; Gilardino arriva sulla respinta, ma spreca tutto con due tentativi bislacchi. Più avanti, un colpo di testa ancora di Gila finisce sopra la traversa.
L’adorato Ricardo Izecson Dos Santos Leite, in arte Kakà, non è al massimo della condizione, ma vederlo danzare sul prato è fantastico. Non perde mai palla, porta scompiglio (o quantomeno apprensione) nell’area parmense, subisce falli procurandoci succulenti calci di punizione, manda spesso in bambola un paio di elementi della retroguardia avversaria, creando spazi per i compagni. Peccato che una sua iniziativa finisca sul destro di Emerson, che colpisce di controbalzo spedendo alle stelle l’inguardabile sfera gialloviola (scordiamoci i cari vecchi fubal a pentagoni neri ed esagoni bianchi). Visto che gli assist ai compagni non sortiscono effetti, Kakà prova a fare da sé: gli arriva un cross, lui stoppa di petto e si esibisce in una mezza rovesciata al volo, diretta rasoterra nell’angolino, per quello che sarebbe un vero golazo, ma Bucci è reattivo e devia in corner. Un piccolo milanista, dietro di noi, lo ribattezza «Bucci-a di banana!». La supremazia territoriale rossonera è netta, ma anche il Parma ha due buone possibilità di portarsi in vantaggio: il nostro portierone australiano dal cognome croato è però sempre attento.
Al venticinquesimo minuto del secondo tempo, l’essenza del calcio torna a manifestarsi al Tardini, questa volta nella forma del giocatore/bandiera, della leggenda vivente. Uno stanco Jankulovski lascia il posto a Paolo Maldini, accolto da un’ovazione al suo ingresso in campo. Quella di oggi è la sua millesima partita da professionista. Mille. Uno, zero, zero, zero. Ventitré anni dopo l’esordio, il ragazzino con un cognome pesante (suo padre è un altro che ha fatto la storia del Milan) è ancora in campo a lottare per l’ultima stagione nella sua carriera, ineguagliata e ineguagliabile in termini di fedeltà alla maglia e di successi conseguiti.
Un gol sarebbe il giusto coronamento di una giornata già di per sé epocale per il motivo appena esplicato, ma non c’è verso di segnare. Il pareggio a reti bianche è il risultato finale.
All’uscita dallo stadio, arriva un messaggio del padre di Sdrof, che ci comunica un fatto assurdo di cui non ci saremmo mai potuti accorgere: a Dida (ex-portiere titolare, ora riserva di Kalac) si è bloccata la schiena stando in panchina, ed è stato costretto a lasciare il campo addirittura in barella. L’essenza del calcio, come beffardo ribaltamento del reale, si è forse insinuata anche nel vento freddo di un sabato di febbraio, che ha provocato il colpo della strega al portiere brasiliano panchinaro della squadra più forte del mondo.
«Finché vivrò / Io sarò / Un rossonero / Io sarò / Un rossonero»…

Harald Giersing, Fodboldspillere, 1917 (dettaglio), © Villy Fink Isaksen, Wikimedia Commons, License cc-by-sa-3.0

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McA

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