Il sogno europeo di Jeremy Rifkin

Incontro con Jeremy Rifkin a Palazzo Cattaneo, 16/11/2005

Rootsman
Sono venuto a conoscenza per caso dell’incontro, organizzato a Palazzo Cattaneo, che vedeva la presenza di Jeremy Rifkin, e non nascondo lo stupore nello scoprire del suo passaggio nella nostra città. Stupore incrementato una volta arrivato nella sala, alla vista delle molte persone venute ad ascoltare questo visionario. Sì, “visionario”: altrimenti non avrebbe parlato di sogno europeo, no? Non so se tutti gli stranieri parlano in quel modo, ma la sua gestualità, la sua mimica, il suo lessico mi hanno dato proprio questa impressione. In tutto il suo discorso, Rifkin ha continuato a sottolineare la peculiarità del nascente sogno europeo e la sua maggior adattabilità nel contesto della società globale: un sogno che punta, in contrapposizione al sogno americano, all’inclusività, alla solidarietà, alla pace, ai diritti, alla condivisione, ai network, alla qualità della vita.
Le peculiarità di questo sogno si possono riscontrare nelle sue origini e nel suo sviluppo: il sogno europeo è nato sì dopo una guerra, ma non come sistema imposto da un vincitore, ma come processo di condivisione e contrattazione da parte dei differenti Paesi. Forse potrebbe essere proprio quest’ultimo il punto di forza del sogno europeo: il contrattare, il condividere le risorse per superare i problemi. Caratteristica che ha permesso anche ad associazioni, organizzazioni, partiti, sindacati, istituti, singoli individui di entrare a far parte di questo sogno: questo sogno non riguarda solo le istituzioni, gli Stati sovrani.
Come si può riscontrare in molti campi, questo processo ha condotto ad alcuni esiti positivi:
• in economia, dove l’Europa è ben equipaggiata e pronta superare la superpotenza USA (sarebbe stato possibile questo pensiero in anni passati?);
• nei diritti, è da ricordare l’istituzione di una Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con potere coercitivo (mica come l’ONU);
• nella ricerca, in alcuni settori fondamentali per lo sviluppo (fonti alternative ecc.) siamo primi al mondo;
• culturalmente, dove l’importanza data alla rete, ai network, alla condivisione di risorse è fondamentale per poter superare con successo le problematiche poste dalla società globale e globalizzata.
Forse Rifkin tralascia (o non dà il giusto peso ad) altri fattori importanti e non così sorridenti verso il sogno europeo, come il sistema pensionistico vicino al collasso, l’esito negativo dei referendum di approvazione della Costituzione dell’Unione Europea, un preoccupante ritorno al nazionalismo dovuto forse alle recenti ondate migratorie, un’Unione Europea percepita come lontana, inutile e solo economica dagli europei stessi (non a torto); ma un visionario deve guardare avanti, non può lasciarsi abbattere dai contro, soprattutto se i pro ci sono, e tanti. Non è una visione superficiale, ma evidenzia, secondo me, l’importanza data a una rivoluzione culturale: bisogna credere in questo sogno (una solida base per la sua realizzazione c’è) e bisogna incominciare dalla singola persona, invece di guardare sempre ai “massimi sistemi” e a una visione macro.
Per citare Rifkin: «Non chiedetevi cosa può fare l’Europa per voi, ma cosa potete fare voi per l’Europa».
Più visionario di così!

Ash
La conferenza di Jeremy Rifkin può essere analizzata da due punti di vista.
Dal punto di vista formale, Rifkin si comporta da predicatore, puntando moltissimo su atteggiamenti spiccatamente retorici che danno l’impressione ai presenti di assistere a vere e proprie orazioni. Stilisticamente (e per ovvie ragioni di lingua) è molto simile a un reverendo evangelista che illumina i fedeli accorsi.
Ciò non toglie che, dal secondo punto di vista, quello contenutistico, Rifkin sia un pensatore raffinato e attento a ogni aspetto (culturale, sociale, economico) di una popolazione. La sua conferenza, infatti, non si è concentrata su tecnicismi e presentazioni di possibili soluzioni ai gravi problemi che affliggono l’economia occidentale, ma è rimasta sull’amorevole confronto del popolo americano con il popolo europeo. Dico “amorevole” perché Rifkin non nasconde la sua propensione personale per l’equilibrio (termine centrale della conferenza) europeo tra gli aspetti culturali ed economici. Ad esempio, sottolinea come sia importante notare che in Europa gli sviluppi della religione cristiana siano completamente diversi da quelli del modello americano: in Europa, infatti, dove la popolazione non è particolarmente praticante, è molto diffuso un sottofondo comunitario completamente alieno alla mentalità americana, dove la forte osservanza religiosa sfocia in un freddo individualismo.
Questo è il carattere fondamentale della conferenza: confronti, confronti e ancora confronti, tra il famoso sogno americano e il sonnolento sogno europeo, le cui radici sono da ricercare in particolar modo in Italia, la cui posizione geografica ha sempre favorito (nel bene e nel male) una forte compenetrazione culturale.
La nuova economia occidentale deve, in conclusione, appoggiarsi a caratteri europei quali la multiculturalità (e altri sette che non ricordo…).
È la prima volta nella storia, tiene a sottolineare Rifkin, che si tenta un progetto politico ed economico di portata globale non basato sulla violenza. Utopia?

Sara Signo
Ho letto poco di Jeremy Rifkin, una manciata di articoli e interviste. Non ho sentito tutto quello che ha detto quel giorno. Questo però non mi ha impedito (e più ci penso più me ne convinco) di rimanere profondamente delusa. Mi è sembrato che ci fosse poca prospettiva storica in quel che diceva. Mi ha proposto un’analisi idilliaca di una realtà (a mio avviso) ancora evanescente qual è l’Unione Europea. Magari si è solo espresso male. Magari non ho capito io. Ma come può affermare che l’Unione Europea si pone come splendido modello economico alternativo a quello statunitense? La demolizione dello stato sociale, la generale precarizzazione dei rapporti di lavoro e lo spietato liberismo economico dove li mettiamo? A me sembra che il dolcissimo sogno europeo abbia questo in serbo per me.
Rifkin ha riconosciuto nella pace, nei diritti politici e sociali, nella cultura i valori sui quali si fonda l’Unione Europea.
Bene.
Gli concedo l’imbarazzante silenzio sulla guerra in Iraq, ma l’affermazione del ruolo positivo degli USA e dell’Europa nel conflitto dei Balcani proprio no. Magari mi sbaglio. Magari ho capito male.

Q
Jeremy Rifkin, economista e autore di saggi come La fine del lavoro e L’era dell’accesso, ha presentato a Palazzo Cattaneo la sua visione del sogno europeo. La visione di un americano cresciuto nel sogno americano (sogno che ha visto svanire) e che ora guarda con ammirazione all’Europa che ha saputo risorgere dalle sue rovine belliche.
Io sono sempre stato un europeista convinto, ma Rifkin lo è sicuramente più di me.
Vede nell’Unione Europea un fenomeno rivoluzionario per la storia umana, il primo tentativo di interi popoli di governarsi e convivere senza bisogno di un capo, sia esso presidente, re o imperatore. Vede nel caos di Bruxelles il segno della vitalità di un tentativo che deve essere fatto, anche se fallisse clamorosamente. Vede la nostra ricerca della felicità finalizzata alla qualità della vita e non alle quantità possedute. Vede la nostra capacità di essere in relazione gli uni con gli altri, la nostra integrazione tra culture diverse, il nostro modo di lavorare per vivere che si contrappone alla vita per il lavoro degli americani.
Vede tutte queste cose e ci invita a riconoscerle e a valorizzarle, a non imitare lo stile di vita americano che (forse) funziona per loro, ma per noi sarebbe disastroso. Siete europei! Siete forti! Il futuro è vostro!
Finisce la conferenza, domande: «Ma lei dove le ha viste tutte ’ste cose?». «Ma ha visto certe cosette che abbiamo combinato in Europa?». «Cosa dobbiamo fare? Continuare a sognare?». Risposte: «Questo è il vostro difetto, non credete in voi stessi, siete sempre negativi. Prendete il meglio degli americani e unitelo al meglio degli europei. Dovete agire con urgenza e pazienza e tenere fisso l’obiettivo. Forse fallirete, ma forse ce la farete!».
Secondo me le analisi del presente di Rifkin sono fantastiche, inquadra l’essenziale con poche parole chiare e precise. Le proposte d’azione quantomeno deboli e vaghe, ma se avesse anche le soluzioni sarebbe troppo.

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