Musica

Il Metallo Regna

Iron Maiden – Live @ Datchforum, Assago (MI), 02/12/2006

Quando facevo la seconda media (parlo del 1993/1994), sbocciò il mio amore per il Metallo. Andavo a scuola con il chiodo, mi facevo copiare le cassette dagli amici più grandi e soprattutto avevo la maglietta degli Iron Maiden, il gruppo più rappresentativo della New Wave Of British Heavy Metal, esplosa dopo il punk e dominatrice degli anni ’80, in contrapposizione alla merda pop.
C’è chi sostiene la tesi secondo la quale «Metallaro una volta, metallaro per sempre». In effetti, nel mio caso è vero: nonostante negli anni la mia passione si sia spostata principalmente sul rock classico di altro stampo, un nucleo di purissimo acciaio è sempre rimasto nel mio cuore.
Sabato 2 dicembre, in chiusura di un 2006 di concerti incredibili, ho colmato la lacuna che gravava su di me da tredici fottuti anni: ho visto dal vivo gli Iron Maiden, con addosso la stessa maglietta che ho da più di metà della mia vita!

Pochi mesi fa è uscito il loro nuovo disco, A Matter Of Life And Death, che parla delle contraddizioni della guerra, prendendo in modo abbastanza deciso una posizione pacifista. Colgo l’occasione per mandare affanculo quelli che pensano che il metal sia roba per fasci. Ma fottetevi, siete peggio dei paninari.
Comunque: sono a Milano (dal giorno prima), a casa dell’amico Grimmy, e nel pomeriggio ci muoviamo verso il Datchforum di Assago. Apertura cancelli alle sei, ma un’ora prima c’è già una coda senza senso: gli ultras degli Iron sono tutti lì. Si pazienta nel serpentone. Due birri in macchina hanno l’idea superba di infrangere la fila a metà; mentre gli offiziali passano ai due all’ora, ricevono dalla marmaglia metallara epiteti non tanto carini.
Siamo quasi all’entrata quando becchiamo, completamente a caso, Roby degli Hand Of Doom, paladino del Metallo cremonese. Coincidenza assurda, vista la presenza di quindicimila persone. Yeah!
Una volta dentro, ho la prima sorpresa positiva: un sacco di gente, in virtù di una scelta per me incomprensibile, si è piazzata sulle gradinate, dunque il parterre è pieno per neanche un terzo! Wow! Grimmy e io scendiamo rapidissimi, intanto sento al telefono Fabio, il Cronista delle Tenebre, che – già sapevo – è lì. Lui però è ancora fuori, in coda. Ci auguriamo reciprocamente «Buon concerto!».
Seconda sorpresa: il concerto non è aperto dall’unico gruppo spalla accreditato, cioè gli americani Trivium, bensì da Lauren Harris, che – mi dirà poi Roby – è la figlia del supremo bassista degli Iron Maiden, e fa un hard rock di strada privo di qualunque interesse. La accompagnano un chitarrista biondo con la barba (figo), un bassista con il mullet estremo (figo) e un batterista in canottiera pettinato con le puntine ossigenate (bruttissimo), che continua a indicare il pubblico con le bacchette. L’aspetto fisico della moretta Lauren, scalza e fasciata in pantaloni di pelle, è di qualità indiscutibilmente altissima. Il Datchforum diventa allora uno zoo, dal quale strani ominidi lanciano ora versi gutturali, ora lunghi ululati, congiungendo curiosamente le falangette dei propri pollici e indici, a indicare un qualcosa che gli etologi ancora non sanno spiegare.

A seguire i Trivium, che fanno un onesto death/thrash vecchio stile, forse con qualche inserto ammiccante di troppo, sia a livello vocale, che sul piano della melodia dei riff di chitarra. Comunque, quando spingono, spaccano alquanto, e suonano davvero bene. Il cantante parla con il pubblico e dice molti più «Fuck yeah!» di me (sì, so che sembra incredibile). Il capolavoro è: «Fuck yeah! This song is a real headbanger, so I wanna see your fuckin’ hair flyin’ in the fuckin’ air!». Lo show è coinvolgente, in particolare il chitarrista si sbatte di brutto, correndo da un capo all’altro del palco e facendo roteare violentemente la chioma. La platea dimostra di apprezzare la band, ma il boato più fragoroso arriva comunque quando il cantante chiede un applauso «for the mighty Iron Maiden!».

Pausa, prima del massacro. Dalle casse escono più che altro pezzi hard rock: la folla canta con piacere Rock And Roll All Nite dei Kiss e qualche altra canzone.
Poco dopo le nove, il massacro. Quando si abbassano le luci, entra per primo il batterista Nicko McBrain, sommerso da un boato pauroso e dai cori «Nicko! Nicko!». Appena il drummer inizia a scandire il tempo, entrano le chitarre galoppanti di Dave Murray, Janick Gers e Adrian Smith, sorrette dal potente basso dell’adorato Steve Harris, in bermuda militari. Per ultimo, come di consueto, arriva di corsa il leggendario Bruce Dickinson, giacca e maglietta nera con sopra la faccina di un alieno e una scritta che non riesco ancora a decifrare (siamo più o meno in quindicesima fila).

I primi pezzi sono naturalmente quelli del nuovo disco; quello che non immagino è che A Matter Of Life And Death verrà eseguito per intero. Chiarisco che, secondo me, sparare (verbo in tema) sull’ultima fatica di un gruppo come gli Iron Maiden non ha molto senso. Gli Iron sono sempre i fottuti Iron: suonano circa la stessa canzone da più di venticinque anni, gli accordi che girano sono quelli, i ritmi pure, i suoni anche. Certo, avendo il potere di scegliere io la setlist, avrei elencato venti classiconi uno in fila all’altro, ma ciò non toglie che la scelta di proporre tutto il nuovo disco sia assolutamente legittima: tra l’altro, è stata ampiamente apprezzata dal pubblico, che ha cantato e partecipato.

Dopo tre o quattro pezzi senza pause, la band tira il fiato e Bruce Dickinson prova a parlare un po’ con noi, ma all’inizio non ci riesce: il coro «Maiden! Maiden!» contagia ogni singolo spettatore. Sul volto dei sei non possono che dipingersi commossi sorrisi. Dopo un paio di minuti, che sono un tempo eterno, Bruce riesce a prendere la parola, ringraziando l’Italia, tutti i fan che hanno fatto schizzare l’album in vetta alle classifiche, tutti i presenti alla serata e quelli tra il pubblico che saranno al Datchforum anche la sera successiva (sold out, come la data di sabato).

Quando i Maiden ricominciano a suonare, ne approfitto per avvicinarmi sensibilmente al palco: ragazzini con le magliette giuste (Iron Maiden) ma con i capelli sbagliati (corti) pogano sguaiatamente, creando un buco nella platea. Con due o tre ampi passi, mi lascio alle spalle la voragine e mi ritrovo davvero vicino agli Iron. Intanto, Dickinson si mette a cantare sulla passerella rialzata centrale (dietro e sopra Nicko McBrain, per intenderci); poi le luci si abbassano quasi completamente ed è Bruce a dirigere su di noi i due grossi riflettori posizionati ai lati. I fasci luminosi squarciano il buio del Datchforum e le urla del pubblico seguono la direzione casuale della luce. Brividi.

Alla fine dell’esecuzione del nuovo disco, Bruce ringrazia e lancia Fear Of The Dark! Il Datchforum esplode. Nel caos generale, mi porto ancor più sotto il palco: adesso è davvero impensabile avvicinarsi ulteriormente. Mentre cantiamo quella che è forse la più grande canzone degli Iron, ho quello che gli alcolisti definiscono “il momento di lucidità”: sto assistendo al concerto di un gruppo che, volendo essere melodrammatici, ha probabilmente segnato la mia vita in una certa direzione. Se non avessi mai conosciuto gli Iron Maiden, oggi sarei quello che sono? Torno in me e vedo Janick Gers esibirsi in numeri allucinanti: prima rigira la chitarra e la ferma sulla schiena, come un fuoriclasse brasiliano farebbe con un pallone; poi la fa roteare velocissima attorno al corpo.
Il finale della canzone, tirato lungo, dissolve nella spaventosa Iron Maiden, vecchio, glorioso brano embrionale, in bilico fra hard rock, punk e metal, appartenuto al grande Paul Di’Anno prima ancora che a Dickinson. Fiumi di sangue sgorgano copiosi dalla Vergine di Ferro! Durante lo stacco strumentale, la sorpresina number one della serata: dal retro del palco emerge, lento, rumoroso, solenne, un carro armato a grandezza naturale, da cui esce un Eddie (lo scheletro simbolo degli Iron Maiden) in versione soldato, con le mani sul volto, a richiamare – secondo me – la disperazione senza via d’uscita del capolavoro di Munch, L’urlo. Visto che Adrian Smith sta suonando una chitarra con sopra un grosso adesivo con il simbolo della pace, direi che il senso di tutto quanto è chiaro. Come se non bastasse, il cannone del carro armato, lentamente, si muove. Alla fine del percorso, punta dritto su di noi. Penso: Adesso spara!, invece niente. Sorpresina number two: sul palco arriva lo stesso Eddie, tre metri o più di soldatone con il mitra e gli occhi rossi fiammeggianti. Janick Gers gli prende il fucile e lo sfrega contro le corde della chitarra! Delirio. L’uscita dal palco di Eddie coincide con la fine della canzone e del regular concert.
«Maiden! Maiden!», e rieccoli. Bruce chiede a qualcuno in prima fila: «What time is it?». Gli rispondono che sono le undici. «Is it eleven o’clock? No. It’s two minutes to midnight!». Boato. Io sono al settimo cielo: 2 Minutes To Midnight è la mia preferita, da sempre. In trance metallara totale, vado a cantare così sotto Bruce che riesco a leggere la microscopica scritta sulla sua maglietta: Not bad for a human. Sembra il commento che gli Iron Maiden potrebbero rivolgere a noi comuni mortali: per suonare e sbattersi così, facendo sembrare facilissimo ciò che è difficilissimo, loro devono per forza essere degli alieni.
Arriva poi la grande The Evil That Men Do, perfettamente in tema con gli argomenti di A Matter Of Life And Death. Altra ovazione del pubblico e altro delirio collettivo: i sei sul palco e gli altri quindicimila danno tutto, perché è chiaro che il concerto sta per finire. E allora tutti a spremersi, a cantare, a vibrare, al massimo.
Chiusura epica con la mortuaria Hallowed Be Thy Name, con le campane a lutto e il coro possente degli spettatori. L’accelerata finale è un trionfo; il finale tira giù il Datchforum. Che emozione!
Inchino delle sei leggende viventi. È davvero la fine. Ecco il rituale del lancio di souvenir tra il pubblico. McBrain scaglia una delle bacchette lontanissimo, in gradinata. Volano polsini di spugna un po’ da parte di tutti. Dave Murray lancia alcuni plettri. Sorpresina number three: il plettro mi finisce in mano. Così. Non ho dovuto spostarmi di un millimetro. Quel plettro era per me. Celeste, scritta oro: Dave Murray – Maiden. Grazie, Dave, ti devo una birra. Anche due.

A luci accese, mi ricongiungo con Grimmy; anche lui è riuscito ad andare quasi sotto il palco, e le sue fotografie lo dimostreranno. Torniamo alla macchina, stanchi e felici. Nel parcheggio facciamo in tempo a immortalare il retro di un furgone, su cui il proprietario (o forse qualcun altro) ha verniciato, con mirabile capacità di sintesi, le parole Metal Inside, corredate da freccia che punta verso l’interno del veicolo.
Il Metallo Regna!

Riguardo l' autore

McA

Si registra sul Forum di Cremonapalloza in data 01/02/03 senza farlo apposta e senza sapere che quel momento costituirà davvero un nuovo «Via!» della sua vita.
Nel 2006 è tra i fondatori dell’Associazione Cremonapalloza, di cui ricopre da sempre il ruolo di Segretario.
Ama il cinema, il rock e la Cultura in generale.

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