Massimo Bubola presenta il nuovo album Quel Lungo Treno alla Libreria del Convegno, 20/01/2006
Venerdì 20 gennaio, alle sei del pomeriggio, una cinquantina di persone hanno affollato la Libreria del Convegno in Corso Campi. L’appuntamento, noto da tempo, è di grande valore: una chiacchierata con Massimo Bubola attorno al suo nuovo album Quel Lungo Treno, uscito a ottobre 2005.
Arrivo in libreria con largo anticipo. A mano a mano cominciano a entrare facce note. Alle sei arriva Bubola, accompagnato da Luca Muchetti, che ha anche il compito di introdurre l’incontro. C’è anche Michele Gazich, violinista della Eccher Band, il gruppo che suona con Massimo.
Si attacca verso sei e dieci, per tre quarti d’ora intensi in cui, sollecitato da Muke ma anche da alcune domande del pubblico, Massimo parla a ruota libera, dell’album ma non solo. Quel Lungo Treno è un progetto che Massimo aveva in testa da anni. Obiettivo tra i principali è quello di rimuovere quello strato di polvere che la memoria collettiva sembra aver destinato alla Prima guerra mondiale. Nella musica, nel cinema, nella letteratura, la vicenda che sconvolse il mondo tra il 1914 e il 1918 è un territorio visitato con il contagocce: il paragone con l’oceano di materiale ispirato alla Seconda guerra mondiale è sia illuminante che scoraggiante, in questo senso. Eppure sono passati meno di novant’anni, che per la Storia sono un battito di ciglia. E allora questo disco va a recuperare i canti della tradizione popolare di quel periodo, addentrandosi in quello che a buon diritto si può definire folk italiano. Nel disco ci sono brani noti e meno noti (tra i quali Massimo cita Il Disertore, scritta da un soldato di area austroungarica). Devo dire, pur avendolo ascoltato una sola volta, di averlo trovato grande non solo dal punto di vista contenutistico, ma anche prettamente musicale, sia nelle tracce tradizionali rivisitate sia nei brani scritti da Bubola.
Poi, un po’ perché stuzzicato da una domanda malandrina, un po’ perché aveva palesemente voglia di parlarne, Massimo sposta il discorso in tutt’altra direzione. Io l’avevo sentito suonare (molto bene), ma mai parlare. Be’, sul dizionario, alla voce “schiettezza”, dovrebbe esserci la sua fotografia. Per Bubola i mezzi termini non esistono. La sua brutale sincerità può essere tranquillamente scambiata per immodestia o anche arroganza, per me è invece solo da lodare, al di là delle categorie “sono d’accordo/non sono d’accordo”. Parte come un treno, Massimo, spara un po’ su tutto e tutti, a cominciare da Dori Ghezzi e dalla Fondazione De André. Lui, che ha scritto canzoni con (e per) Fabrizio e l’ha aiutato a uscire da un periodo di merda, nel quale (cito) «Era un alcolista e fumava novantasette sigarette al giorno», gode ora di considerazione zero da parte di chi invece dovrebbe essergli riconoscente. Ma lui non fa parte dei salotti buoni di sinistra, di quelli che, come Morgan (recentemente uscito con la riproposizione dell’intero album di De André Non Al Denaro Non All’Amore Né Al Cielo), fino a tre anni fa si dichiaravano innamorati dei Duran Duran e oggi si atteggiano a (e vengono considerati) grandi cantautori. Si scaglia poi contro l’intera industria musicale, contro le radio (Radio Deejay, che non passa niente che sia minimamente di contenuto), contro le rivalutazioni assurde di carriere musicali imbarazzanti (cita qualcuno che ha definito “grande artista” Al Bano. Certo, basti pensare alla grandezza de Il Ballo Del Qua Qua), contro gran parte dell’offerta televisiva, contro i critici che scrivono puttanate su canzoni come Sally quando basterebbe chiedere a chi la canzone l’ha scritta. Parla dell’ottimo successo avuto dall’album, venticinquesimo in classifica nonostante la pochezza dei mezzi rispetto alle grandi produzioni di massa studiate apposta per vendere, e del fatto che comunque il triplo cd di De André schizzato al primo posto italiano, davanti a tutta la robaccia pop, è la dimostrazione che c’è un pubblico di appassionati che ha talmente fame di musica di qualità da andarsi a comprare anche questo cofanetto, che non contiene quasi nulla di inedito (e che vede come autore più accreditato, dopo Fabrizio, proprio Bubola). Michele Gazich si limita ad aggiungere qualche considerazione personale.
Fine dell’incontro, applausi. Massimo si intrattiene con alcuni del pubblico, tra cui Andrea Cisi (che era arrivato un po’ in ritardo). Qualche chiacchiera, Ciso gli regala una copia di AYE. Are You Experienced?, io faccio un po’ di fotografie ai due e alla fine li “costringo” a due scatti in posa, il secondo dei quali con sberiola (Ciso) e cappello (Massimo).
Mentre prendo e vado, nel gelido Corso Campi, mi viene in mente che, alla fine dei conti, Massimo Bubola è uno che compone, suona, produce e pubblica grande musica da trent’anni, pur facendosi gli affari propri, senza stringere relazioni “comode”. Lui è il vero disertore delle guerrettine e battagliette intestine al mondo della musica italiana.
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