I più e i meno di una stagione di concerti

sonic youth ferrara

Il cielo è grigio, il meteo dice che inizierà presto a piovere, ho ricominciato a lavorare, a giocare a pallone, a studiare per l’università. Tanti piccoli indizi per una quasi-certezza. L’estate è finita, e se non è il 21 di settembre non me ne frega niente, è finita e basta.
E allora parliamo di questa ex-estate. Cosa mi è rimasto (musicalmente si intende, siamo sempre su un portale musicale) di questa ex-estate?
Facciamo come alle elementari: i più e i meno di una stagione di concerti.
(Ah, non li metto tutti eh. Ne scelgo qualcuno e la facciamo breve).

I più
Sonic Youth. Due concerti in due giorni, prima Ferrara e poi La Spezia. Personalmente, semplicemente i migliori da oltre vent’anni. A Ferrara piazza gremita, fin troppo. Spettacolo all’altezza ma non c’è mai da dubitarne. Scaletta piuttosto variegata anche se molti pezzi sono recenti. A La Spezia incredibili. Scaletta completamente diversa dal giorno precedente, un tuffo nella pazzia creativa degli anni Ottanta, posto e palco piccoli, molta meno gente, grande intimità, Kim come sempre molto sensuale al limite del sexy spinto, Lee solito bonaccione, Thurston il padrone del palco in versione scanzonato-compiacente, Jim tuttofare, Steve l’essenzialità fatta uomo. Il miglior concerto dei SY a cui ho assistito.
Fantomas. A Ferrara, di spalla ai Sonic Youth. Li vedo la prima volta, mezz’ora di delirio tecnico e creativo. Fuori da ogni schema, incatalogabili, semplicemente da vedere per capirli. A differenza di molti dei presenti, non conoscevo nulla di loro. Nonostante un loro disco che credo non ascolterò mai, vederli è come ogni cosa che abbia poco a che fare con la normalità: da provare.
B.B. King. Pistoia Blues, festival e atmosfera straordinarie. Lui, ottant’anni, li dimostra tutti ma non è certo la sua musica a soffrire gli anni sulle spalle. Piazza in delirio, bel concerto, voce impressionante (mai visto prima uno cantare con il microfono a oltre un metro di distanza dalla bocca). Un’icona della storia della musica, regala le sue ultime energie accompagnato da una band numerosissima, variegata, con una sezione di fiati strepitosa, e col sorriso stampato sulle labbra. Nell’America del blues, la musica è allegria. A guardarli, loro, è come guardare una fotografia di quell’America così lontana da quella che si distingue per tutt’altro. Ed è una meraviglia.
Robert Cray Band. Anche loro a Pistoia. Sound molto più calmo e controllato, più preciso, più raffinato. Chitarra alla Clapton, ritmi più lenti del compagno B.B., voce piuttosto europea. Il momento più intimo dell’intera giornata blues.
Eric Sardinas. Lo chiamano il nuovo Hendrix. Per capacità non è certo da meno, deve solo scontare il peccato di essere arrivato con una trentina d’anni di ritardo. Manie di protagonismo, slide su e giù per il manico alla velocità della luce, cappello da cowboy, pantaloni di pelle, tatuaggi ovunque, voce rauca da bluesman consumato. Lo spettacolo, anche quello, fa molto Jimi, con tanto di chitarra incendiata e sfracassata sulle assi del palco fino alla sua totale distruzione. Questo è rock.
Johnny Neel. Un omaccione vecchio, piuttosto grasso, barba bianca lunga e folta, capelli bianchi incontrollabili. Cieco. Sale sul palco, insieme al suo bastone bianco, ospite di una blues band di cui non ricordo nemmeno il nome. Si siede all’Hammond. Regala spettacolo per oltre mezz’ora, uno spettacolo assoluto. Riesce a farmi compiere due imprese in contemporanea: primo ballare, secondo ballare sulle note di un blues. The king of Hammond.
Cristina Donà. Vedere una donna sul palco fa sempre piacere. È, insomma, un punto in più già in partenza. Se poi tal donna riesce nell’intento di essere buona suonatrice, ottima cantante, aggressiva, sbarazzina, ironica e intelligente allo stesso tempo, beh, credo non ci sia che da applaudire. Cristina Donà riesce bene a fare tutto questo, ce ne fossero di donne così.
Ulan Bator. L’ultimo disco (Rodeo Massacre) più lo sento più mi convinco sia un capolavoro. E quando suonano a una distanza ragionevole, non riesco mai a dire di no. E ogni volta mi cattura qualcosa di nuovo, e ogni volta l’atmosfera è quella: comincia il viaggio alla prima nota, ti svegli dall’incantesimo qualche secondo dopo l’ultima.
Pino Zimba. Tutta la tradizione della vera pizzica salentina nello spettacolo di quest’uomo, icona vivente di una musica popolare in grado di stupire. Nulla di geniale, per carità. Tamburelli, chitarre classiche, mandolini, violini fatti con rami di alberi, batteria, basso, voce femminile e voce maschile. Ma veder suonare la pizzica è come entrare nella cultura di un popolo tutto da scoprire. E vederla ballare, signori, è innamorarsi con gli occhi.

I meno
Tre Allegri Ragazzi Morti. Quando ho chiesto a uno degli organizzatori di quella festa, nel centro del Salento, perché fossero gli Yuppie Flu a fare da spalla ai Tre Allegri Ragazzi Morti e non il contrario, mi ha risposto che in Puglia la gente va matta per loro. Dopo venti giorni trascorsi laggiù, quello è il peggior difetto che ho riscontrato in quella gente. Del concerto mi ricordo le prime due canzoni, facevano davvero schifo. Poi ho raggiunto la panchina della squadra ospite (il concerto era in un campo sportivo) e mi sono addormentato sulla panca.
The Jains. Cosa ci fa Kris di MTV su un palco? La tipica risposta da bar, che istantaneamente tutti pensano è: Kris è li solo perché è di MTV. Oppure: è lì perché è una grandissima gnocca e ciò basta e avanza per catturare l’attenzione. Oppure: è li perché l’ha data a quello giusto. Sono arrivato al concerto di The Jains provando a cancellare tutte quelle maliziose premesse. Sono andato a casa e ci ho ripensato. Doveroso post scriptum: però, giuro, lei è simpatica, non se la tira per nulla, ed è davvero una meraviglia di donna.
Afterhours. Nulla da dire sulla musica degli Afterhours. Un bel pezzo di musica italiana. Del resto, i loro dischi li ho anche io, ogni tanto li ascolto pure, e di loro concerti ne avrò visti dieci o più. Ma Manuel Agnelli deve capire che anche se non se la tirasse, o se la tirasse solo un po’ meno, la gente ci andrebbe lo stesso a sentirli. E anzi, magari applaudirebbe di più (almeno, io applaudirei). Sono molti anni che il buon Manuel ci regala perle di pura tamarraggine, arroganza e manifesta superiorità, ma quest’estate ha saputo stupirmi con due nuove trovate davvero eccezionali. La prima: l’asta del microfono completamente illuminata al neon, azzurrino accecante, in stile locale alternative dance anni Ottanta. E attenzione all’uso: tutte le luci spente, lui che canta da solo davanti a un bastone di neon alto un metro e mezzo, che lo vedi da trecento metri, che solo a guardarlo fanno male gli occhi, che solo a pensare di doverci cantare io mi vergogno e non salgo sul palco. Effetto scenico straordinario o schifezza mostruosa? Ognuno dica la sua. Seconda perla: l’assolomania. Ormai l’Agnello mette un assolo ovunque: nei pezzi lenti, nei pezzi tirati, anche dove non l’assolo non è mai esistito. È lì il bello: in ogni canzone i suoi musicisti aggiungono almeno un buon minuto di accompagnamento in più e lui, stoico, parte con l’assolo. L’ha fatto pure al pianoforte. Epico. Poi i gusti son gusti, ma secondo me i suoi assoli, oltre che a sproposito, sono anche di pessimo gusto.

Finisco qui. In fin dei conti, chi se ne frega dei miei gusti.
Ultimissima cosa: per favore, chiunque vada a vedere gli Afterhours e abbia la fortuna di assistere a qualche nuova trovata geniale di sano protagonismo da parte del nostro Manuelito, me lo faccia sapere scrivendomi. Mi trovate a sebastianogiordani@libero.it. Ehi, ci tengo eh.
Angeli e diavoli, buona musica.

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Seba

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