Eagles Of Death Metal – Live @ Transilvania Live, Milano, 21/02/2007
Ci sono dei rocker che, pur avendo raggiunto fama e ricchezza, si lanciano sempre in nuove avventure, perché vivono per la musica. Josh Homme è una di queste perle rare: non contento del ruolo di pioniere dello stoner anni ’90 con i Kyuss e della definitiva affermazione negli anni ’00 con i Queens Of The Stone Age, ha trovato anche tempo e voglia per un progetto fottutamente rock’n’roll vecchio stile: gli Eagles Of Death Metal, gruppo in cui Homme si è reinventato batterista (ma solo per i dischi) e con il quale collaborano svariati musicisti. Il frontman degli Eagles Of Death Metal, il leader carismatico, il cantante, chitarrista e autore delle lussuriose canzoni è un personaggio geniale, di cui parlerò diffusamente.
Mercoledì 21 febbraio si va a Milano con l’amico Rick’N’Roll. Ci raggiungeranno Cudiel, Andy B, Jonny, Gasta ed Eden. La venue (adoro questa parola inglese) è il Transilvania Live, stesso locale dove, venti giorni prima, ho inaugurato in compagnia di Cudiel il mio 2007 di concerti internazionali, rockeggiando a manetta con i neozelandesi The Datsuns.
Il gruppo spalla sono i losangelini The Spores (che nome orrendo). La tizia canta male e a un certo punto suona il basso solo con la mano sinistra, perché nella destra ha infilata una marionetta; proporre melodia e linea vocale di The Sound Of Silence con il testo di Should I Stay Or Should I Go fa troppo schifo, anche per un amante del cattivo gusto come me. Insomma: pessimi, per quello che ho visto e sentito.
Si spengono le luci, parte una base molto ritmata ed esce Jesse Hughes! Eccolo, The Devil (ma ha molti altri soprannomi), il sedicente maniaco sessuale, baffoni da pornodivo anni Settanta, Ray-Ban a specchio, stivali, pettine sempre a portata di mano (lo usa più per i baffi che per i capelli) e maglietta nera con donna nuda sopra. Che rocker! Il fatto che tra il pubblico si possano individuare almeno due o tre suoi sosia è indicativo del carisma. Ha già tuffato le braccia tra le prime file e batte cinque a raffica, mentre sul palco prendono posto Dave Catching (chitarrista solista, ciccionissimo, cresta corta ossigenata, occhialoni azzurrognoli orribili), Brian O’Connor (bassista, robusto, capellone, baffuto, funerario, tutto in nero con la cravatta rossa) e Gene Trautmann (batterista, taglio grunge biondo cenere, camicia a quadri). Non mi piace speculare sui sentimenti dei miei fedeli lettori, quindi dico subito che non ci saranno special guest nel corso della serata, ma ci sarà comunque da divertirsi.
Si parte subito forte. La musica degli Eagles Of Death Metal è molto semplice e diretta: un po’ rockabilly, un po’ country, un po’ hard rock, un po’ punk rock, un po’ stoner. Per cercare di tradurre in parole il clima del concerto, passo in rassegna qualche titolo della setlist. Ci sono Cherry Cola, Speaking In Tongues e Kiss The Devil, che parlano di sesso. Poi ci sono Don’t Speak (I Came To Make A Bang!) e I Got A Feelin (Just Nineteen), ancora più fiche, perché hanno i titoli con le parentesi (fosse per me, nel rock ci sarebbero solo titoli con le parentesi), che parlano di sesso.
In effetti, tutte le canzoni degli Eagles Of Death Metal parlano di sesso. Esaurisco sinteticamente il discorso con la rubrica L’angolo dell’etologia.
L’elefante Dave Catching vede avvicinarsi alcune giraffe (tre o quattro tipette da concerto, di quelle che ballano in modo provocante, ammiccano ecc.). Emette allora grandi barriti, per mostrarsi forte e adatto alla riproduzione, ma l’interesse delle femmine è rivolto verso il maschio dominante, cioè l’aquila a centro palco (il buon Jesse). Le giraffe si esibiscono dunque nella danza dell’accoppiamento, mentre all’aquila basta lanciare alcuni versi striduli e mostrare le possenti ali variopinte per assicurarsi la supremazia sul territorio e il mantenimento del proprio corredo genetico.
Dopo quattro o cinque canzoni, sento picchiettarmi sulla spalla: è Cudiel! I ragazzi sono riusciti ad arrivare sotto il palco, spettacolo! Vola qualche plettro, ma non riesco a prenderlo. Dichiaro che non me ne andrò a casa a mani vuote.
Intanto, qualche integralista del pogo violento si distingue per particolare idiozia. Uno va a cercare rogne da Andy B, ma casca male, io ci metto in mezzo una mano da paciere, volano due «Vaffanculo!» e morta lì. Un rastone stordito si fa portare via, ma riesce a sgattaiolare dalle grinfie della security e si rituffa nella mischia. Mica tanto stordito, in fin dei conti.
Dopo la geniale cover di Stuck In The Middle With You, saggiamente ribattezzata Stuck In The Metal With You, tutto il pubblico partecipa ai coretti di I Want You So Hard (Boy’s Bad News) (altro titolo con le parentesi. La canzone ovviamente parla di sesso). Uscita del gruppo tra gli applausi; è evidente che ci vuole un bis. «Eagles Of Death Metal! Eagles Of Death Metal!».
Al rientro ci sono un paio di cover da paura! Prima, una Beat On The Brat (in origine dei Ramones) molto lenta e potente: noi cremonapalloziani siamo troppo giusti e non ci limitiamo a cantare, ma affianchiamo i nostri pugni in una lunga fila sopra le nostre teste, con i mignoli delle due mani esterne alzati a formare un lunghissimo paio di corna. Yeah! Boots Electric (altro soprannome di Hughes) ci vede e approva il nostro sforzo coreografico.
Per il pezzo successivo impazzisco completamente: Brown Sugar! Cudiel mi ospita gentilmente sulle sue spalle, almeno per cantare i primi due versi: «Gold coast slave ship bound for cotton fields / Sold in a market down in New Orleans». Fantastico!
A fine concerto piovono sul pubblico plettri, bacchette della batteria e asciugamani, ma non sembra proprio giornata.
Invece, all’improvviso, la leggenda.
Jesse Hughes si toglie la maglietta, la appallottola e la scaglia nella bolgia.
Io sono mancino, ma stavolta la predestinata è la mia mano destra.
Afferro al volo la tamarrissima t-shirt.
La mia bocca, senza avere il permesso del cervello, chiarisce agli astanti, se mai ci fossero dubbi, chi è il nuovo proprietario.
Mi esce un eloquente: «Vaffanculo tutti!». Mutismo generale.
Le mie mani, in automatico, l’hanno già ficcata a forza nei pantaloni.
Dagli amici ricevo commenti tra lo schifato (ho nei jeans una maglietta fradicia di sudore) e l’ammirato (la dichiarazione programmatica «Non me ne vado a mani vuote» è stata brillantemente rispettata), poi i ragazzi se ne vanno, mentre Rick’N’Roll e io rimaniamo dentro al Transilvania per bere qualcosa. A luci accese vediamo lo stand dei Malleus, collettivo artistico e musicale che, tra le altre cose, fa delle magnifiche locandine rock. Al banchetto del merchandising si segnala l’adesivo Free Moustache Rides, con disegnati i baffoni. Rick’N’Roll compra il nuovo album (dal superbo titolo Death By Sexy…). Nella zona del palco c’è un po’ di gente accalcata. Ci avviciniamo e capiamo il perché: Jesse è uscito! Entusiasta e sorridente, firma autografi e si mette in posa per le fotografie. Sul booklet del cd di Rick’N’Roll scrive le parole Rock e Roll divise da un grande fulmine, e si firma Boots. Io mi faccio fare una fotografia con lui e gli rubo due secondi in più per dirgli: «Fuckin’ great frontman! I got your shirt in my pants!». Lui mi guarda in faccia e poi guarda il rigonfiamento in basso. Io ribadisco: «In here!», dandoci sopra un paio di pacche. Jesse scoppia a ridere e mi batte il cinque, come per convalidare la mia vittoria. Credo di amarlo.
Stiamo per uscire, ma una voce nel locale lancia l’iniziativa culturale Vodka & Tette: una barista sale in piedi sul bancone, e mentre balla versa vodka direttamente nelle boccucce dei presenti, dall’altezza di due metri o giù di lì. Non assaggiare un goccio pareva brutto. A questo punto ce ne siamo andati, non so come si sia sviluppata la seconda parte dell’iniziativa. Ancora il tempo per uno scatto davanti al tour bus con la maglietta in bella mostra, e poi si riparte.
Al ritorno in macchina, per rilassarci con del buon vecchio soft rock, che cosa potevamo ascoltare?
The Eagles, naturalmente.
Serata memorabile!
Epilogo: il giorno dopo, ascolto un’intervista radiofonica nella quale Jesse dà l’ennesima versione dell’origine del nome della sua grandiosa band. Pare che lui e Josh Homme abbiano incrociato un tizio che suonava da solo Wind Of Change, sostenendo che gli Scorpions fossero un gruppo death metal. Risposta di Homme: «Se gli Scorpions sono death metal, allora sono gli Eagles del death metal!». Sarà questa la verità?
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