Gli imbecilli

Mentre gioco col gatto Fulvia e accendo la tv, ragiono che il Paese è popolato da imbecilli. Non nel senso che tutti lo sono, nel senso però che a Cremona quasi certamente almeno uno su dieci lo è. Forse è così anche nel globo. Mettiamo che siamo sei miliardi, ecco, seicento milioni di persone nel globo, probabilmente, sono degli imbecilli. Magari in altri Paesi è peggio che da noi, magari chessò, in Cina per esempio, gli imbecilli sono uno su due. Magari tra gli esquimesi ce n’è solamente uno su cento e loro sì che stan bene, che fan le cose giuste, non le imbecillaggini, loro sì che fan dei bei ragionamenti intelligenti da mattina a sera (e lì di tempo ce n’è). Avrò modo spero in futuro di ritornare sulla funzione degli imbecilli all’interno di un organismo sociale strutturato e regolato come il nostro, le implicazioni negative, le potenzialità positive, diagrammi di utilizzo dell’imbecille nel microtessuto lavorativo e cose così insomma, ho alcune idee molto pratiche e credo efficaci, alternative all’abbattimento fisico dell’imbecille. Quel che volevo dire in partenza però è che di certo a Cremona uno su dieci è imbecille. Lo so perché è una valutazione statistica personale che porto avanti giorno per giorno da tempo. Io a fine giornata esamino gli incontri particolari a livello umano, quelli cioè che mi restano impressi, quelli che spiccano nella monotonia del mio quotidiano trascinarmi avanti nel mondo, faccio due conti. Mi capitano circa dieci contatti strani al giorno, escluso il lavoro, l’allenamento eccetera. Uno su dieci di questi, all’incirca, lo è. Imbecille, intendo. In genere si tratta di estemporanee situazioni, lascio perdere nel mio calcolo tutti coloro che do già per scontato essere imbecilli, gente che conosco e vedo in giro da una vita o semplicemente che già in passato, in quell’unico incontro casuale tra noi, ho reputato essere un/a perfetto/a imbecille. Sì perché talvolta esso (l’imbecille) è donna.
«Sì ma che ti è successo per esser così scontroso oggi? Meeeoow…», mi fa il gatto Fulvia aggrappato ai miei jeans con le unghie. E così gli racconto.
Gli racconto dell’altra mattina che ero in ritardo per il lavoro, ore 07:46. Passo il semaforo verde di San Bernardo ma mi accorgo che più avanti le sbarre del passaggio a livello stanno scendendo. Altri minuti di attesa. Il ritardo si accumula e significa che dovrò star dentro mezz’ora in più la sera per questo paio di minuti di sforamento alla timbratrice. Da assonnato, mentre passo il semaforo verde, divento anche nervoso. Allora abbasso di nuovo gli occhi sulla strada e mi accorgo che ho una signora cinquantenne in bici a 6 cm dal cofano della macchina. Lei è uscita col suo rosso senza fermarsi e io la sto uccidendo. Colpa sua. Povera signora, con la faccia da perfetta imbecille mi sta guardando negli occhi mentre la stiro sull’asfalto. Mi guarda proprio come dire che è colpa mia se la stiro, invece è lei che è passata col rosso e non s’è fermata, sbucata dal nulla, giusto per morire sotto le mie ruote alle 07:46 di un venerdì inutile. Invece freno, la Punto si arresta sul posto, la bici mi passa a un millimetro e va oltre, la deficiente mi guarda ancora, all’indietro, borbotta infastidita. Dato che è imbecille, non capisce che per un pelo la sua giornata è rimasta normale, che poteva finire lì, e magari non solo la giornata. Imbecille. Il mio primo istinto su quell’ultimo ingiustificabile sguardo della signora è ucciderla. Poi penso che la stavo già uccidendo prima e ho frenato. Imbecille io, allora.
«Beh, miao, magari non s’è accorta del rosso», fa il Fulvia. No, micione, quella lì è di certo recidiva, uno di quegli esseri che i rossi li bruciano così, senza farsi problemi. La signora aveva proprio uno sguardo imbecille. Lo riconosci, è inconfondibile, è lo sguardo da “nevrosi dell’altro”. Io ero l’altro.
E la sera dello stesso venerdì, ormai rilassato, invitati da una coppia di amici vado con la Pupina in zona Duomo, cerco parcheggio in Via XX Settembre, sto girando da mezz’ora e rischio di ritornare nervoso. Una compagnia giovane di tre ragazzi e una ragazza denotano la possibilità di andarsene con un’auto posteggiata proprio in zona mia. Bene, accosto e freccio. Dopo cinque minuti di schiamazzi da circo non se ne sono ancora andati. La ragazza, mezza andata, con una bottiglia di birra in mano si spinge tronfia fino al bar San Gallo, lì accanto, dove alcuni avventori sono fuori in piedi a osservar la scena. Va là probabilmente per guardarli tronfia in faccia, uno per uno. Uno dei tre maschietti intanto, tutto fasciato di jeans e mezzo andato pure lui, piscia contro il muro del palazzo lì accanto, sotto gli occhi di tutti. Un povero imbecille. Uno che probabilmente alla società non serve. I condomini anziani si affacciano, nessuno si arrischia a dire nulla, si sa mai, il generico “imbecille” è mediamente convinto di aver ragione quando fa queste cose intelligenti. Ora io non contesto il fatto che tu usi i tuoi vent’anni per ubriacarti di birra al pub all’angolo, cosa vuoi che me ne importi, sono tuoi i vent’anni, fatti tuoi se non hai altri svaghi. Ciò che ti rende davvero un povero imbecille è che probabilmente quel pub possiede un bagno. E che tu, invece, preferisci farla contro il muro di un rispettabile palazzo del centro storico della città. Per vantartene, probabilmente, in macchina con gli amici. Ora dimmi: cosa bisognerebbe farti? Farti ripagare la pulitura e imbiancatura dell’intera facciata di tasca tua? Noleggiare un pullmino, caricarci tutti i condomini della palazzina, portarli sotto il muro di casa tua, chiamare papino e mammina tuoi alla finestra e infine pisciargli tutti insieme sul muro di casa? O schiacciarti la testa al suolo e fartela annusare come si pensa erroneamente si debba fare coi gatti?
«Farcela annusare non serve, meeeeoow!», fa il Fulvia grintoso.
«Lo so», rispondo, «vedi che ho detto “erroneamente”?». Il gatto mi si rilassa. Il problema, ne deduco alla fine, è che non c’è mai un vigile pagarlo oro, quando serve. Te prova a lasciare la macchina alle 18:55 senza ticket in una qualsiasi zona parchimetro, anche la più periferica, son solo cinque minuti ma stai certo che la prendi, la multina dal vigile invisibile. Invece quando c’è un imbecille che piscia contro i muri, o il solito brillante che alle due del mattino attraversa la città a 140 l’ora beh, lì il vigile non c’è mai. Ma mai eh.
«Màoh», si stiracchia il Fulvia grattandosi l’orecchio, «se per gli imbecilli basta un vigile allora ce ne vuole uno anche a La 7!».
Guardo lo schermo del televisore, c’è Il processo di Biscardi. C’è uno che chiamano Melli che parla con un altro di cui mi sfugge il nome, sono in parallelo sullo schermo e litigano. Hanno facce rosse da avvinazzato, uno dice all’altro che adesso finalmente “loro” la smetteranno di festeggiare a porchetta. Chissà a cosa si riferisce. Uno offende l’altro, l’altro ricambia, poi prima della replica strizza l’occhio a qualcuno fuori campo. Intanto al telefono compare la voce di un serio e offeso Guidolin, allenatore del Palermo, che risponde alle accuse di un altro soggetto in grigio. Poi Biscardi gli chiede di attendere tre minuti in linea che c’è lo spot, si sono resi ridicoli finora e quando finalmente c’è uno realmente importante, serio e che vuol dire la sua, il grande Aldone lo stoppa per la réclame. E lo spot lo lancia una giovane e procace bellona, tutta pitturata in faccia, che fatica a parlare italiano ma farebbe bella figura avvolta intorno a un palo sul cubo di una disco. Dopo lo spot Aldone, in un primo piano da martirio, afferma lanciando lo sgùp che «noi deniamo in consideraziòne le obbinioni del nostro bubblico, che bbernoi lui è imbordante, noi al bubblico ci vogliamo bene, lui è nostro amico!». E io resto intrappolato. E non so più se gli imbecilli son lì dentro lo schermo oppure io che son qui fuori a guardarli.
«Ma voi», faccio al Fulvia tirandogli la coda fluente, che ciò gli dà parecchio noia, lo so, «voi gattoni proletari, la pipì la fate solo sui cofani delle auto in sosta oppure anche sui muri?». Lui per un momento cerca di divincolarsi, poi soffia, ma siccome non mollo la presa cede. «Noi», mi fa serio, «la facciamo anche sui muri, maaaao… Ma solo quando qualche imbecille ci tira la coda!».
Lo mollo subito e torno a fissare atono il Biscardone.

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Andrea Cisi

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