Il gabinetto del dottor Caligari al Cinema Filo, 18/11/2004
Giovedì 18 novembre, al Cinema Filo, la sala era (quasi) piena per la proiezione in spettacolo unico de Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet Des Dr. Caligari, di Robert Wiene, Germania, 1920). La serata faceva parte della rassegna Spazionovecento, presentata dall’Associazione Culturale Gruppo Musica Insieme.
Già il fatto di poter vedere al cinema un film di tale lignaggio, capostipite e capolavoro dell’Espressionismo tedesco, aveva scatenato in me una reazione di morboso desiderio cinefilo quasi senza precedenti. Ma i fattori che contribuivano ad alimentare il mio entusiasmo coincidevano con le due principali peculiarità della versione che ci apprestavamo a gustare: innanzitutto, si trattava di un master digitale tratto dalla pellicola originale restaurata nel 1994 dalla Cineteca di Bologna, che oggi potrebbe essere definita un’edizione director’s cut: al film sono stati restituiti gli 82 minuti originali che – e qui è impossibile esimersi dallo scrivere «secondo la volontà del regista» – caratterizzavano la primissima versione del film (stiamo parlando della fine degli anni Dieci), poi barbaramente scorciata a 50 minuti da quei bastardi imperituri dei produttori, naturalmente per ragioni commerciali. Quindi: lunghezza originale del film rispettata; ottimi viraggi, di varie tonalità, coerenti alle sequenze narrative del film (giallo per le scene diurne, azzurrino per quelle notturne, rosa per gli interni della casa della donna amata dal protagonista); un plauso ulteriore va rivolto ai restauratori della pellicola, che hanno mantenuto le stupende, spigolose, a loro modo profondamente violente didascalie originali tedesche, dotandole di discreti (nel senso di non invasivi) sottotitoli in italiano. Una proiezione di altissima qualità, insomma, per quanto riguarda il video.
Ma era il versante audio a catalizzare maggiormente l’interesse nei confronti della serata: la colonna sonora era infatti eseguita dal vivo, durante la proiezione, dallo straordinario ensemble musicale romano degli Edison Studio, esistente dal 1993 e nome di spicco nel panorama internazionale della musica elettroacustica. I componenti del progetto musicale sono Luigi Ceccarelli, Fabio Cifariello Ciardi, Alessandro Cipriani e Mauro Cardi (in quattro assommano cinque cognomi, tutti con la C iniziale). Questa particolarissima live computer soundtrack è francamente difficile da descrivere, se si vuole cercare di restituire a chi legge un’idea generale dell’atmosfera ricreata. Diciamo che, a una base elettronica di tastiere e synth, si aggiungevano suoni ricreati in diretta e con sincronismi perfetti da parte dei musicisti (un esempio su tutti: i passi dei protagonisti, in alcune scene, erano “musicati” da suoni di varia natura da un componente del gruppo in particolare, che avrà necessariamente dovuto tenere un occhio sulle macchine utilizzate e un occhio sullo schermo per l’intera durata del film). A ciò si sovrapponevano registrazioni di parti sonore prodotte da strumenti tradizionali, nonché, in alcuni momenti del film, campionamenti di dialoghi parlati (!), sporcati da sinistre distorsioni elettroniche. Su quest’ultimo punto è bene soffermarsi un attimo, sostanzialmente per una questione “deontologica”, se cioè sia “morale” o no porre dei dialoghi sonori in un film – per quanto la definizione sia in origine infelice – muto. Effettivamente, il suono distorto delle parole non si discostava da ciò che già si poteva leggere nelle didascalie del film, ma ancora adesso non riesco a capire se la cosa mi sia piaciuta o meno. Be’, rimane un piccolo dubbio di fronte a tutto il resto, che è la certezza di aver assistito a una sperimentazione audiovisiva assolutamente unica.
Tutto ciò ha arricchito il valore già enorme del film, di cui colpiscono la trama avvincente (degli strani omicidi seriali vengono commessi dal sonnambulo Cesare, che è soggiogato dal misterioso e inquietante dottor Caligari – ma con il racconto mi fermo subito. Vedetelo!), la sceneggiatura clamorosamente innovativa (è davvero un film “avanti” di decenni) firmata da Carl Mayer e Hans Janovitz, le scenografie favolose, tetre, discordanti, dannatamente espressioniste, che di fatto diventano coprotagoniste del film, per la realizzazione delle quali il regista Robert Wiene si avvalse della collaborazione di due pittori, Walter Röhrig e Walter Reimann (il regista è RW, i due pittori sono entrambi WR, anzi Walter R – non ce la faccio a non scrivere queste cose), e di un designer, Hermann Warm.
Per chiudere, riporto una bella osservazione di Jean Mitry proprio riguardo alle scenografie: «In Caligari gli scenari non hanno più una funzione stilizzatrice. Creano un universo discordante […]. Ma l’Espressionismo non si accontenta di essere semplicemente pittorica. Diventa una vera e propria simbolica, mettendo a profitto le reazioni istintive suggerite dalle verticali, dalle diagonali e da altri elementi lineari».
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