Coldplay in concert

Coldplay – Live @ Filaforum, Assago (MI), 14/11/2005

E non è vero che un Camparino in due col bianco, a Milano, costi più che in piazza a Cremona. Andiam su, Daigo e io, verso le cinque del meriggio, con lo scopo di recuperar la Pupina che esce dall’ufficio, masticare una piada in qualche baretto fuori dal centro e puntare poi decisi per il Filaforum, dove incroceremo la coppia Orla & Trafford e dove alle 21:00 vanno in scena i quattro musicisti del momento mediatico, gli inglesi Coldplay. Arriviamo in Corso XXII Marzo e piantiam giù l’auto in una laterale ampia, Via Bronzetti. I primi dubbi ci assalgono quando non troviamo le colonnine del ticket per il parcheggio. Decidiamo di chieder lumi all’edicolante all’angolo, un sosia del protagonista de La piccola bottega degli orrori, però magro e alto. È tutto contento perché i ticket li vende lui. «Son tipo gratta e vinci!», ci fa lieto. Lo prendiamo, un’ora 1,20 €. Grattiamo. Speriamo almeno di vincere. Poi pensiamo che occorrano biglietti per il tram, per raggiungere il centro. L’edicolante è contento, ha anche quelli, 4 €. Coi nostri soldi ci manterrà le piante carnivore sul balcone. Sento la Pupina, dice che è meglio se ci raggiunge lei, ora che andiamo là e torniamo in XXII Marzo il concerto è finito. Io e Daigo ci fissiamo, poi fissiamo i biglietti del tram. Poi fissiamo l’edicolante. Ci sorride ma scuote la testa. Allora ci scappa la pipì, ci infiliamo in un bar gelateria tristissimo, gestito da un cinese, proprio di fronte al Rolling Stone. Un Camparino col bianco e una pipì a testa, 3,5 € in tutto. Torniamo all’auto, incrociamo la Pupina, bacio bacio, ciao ciao. Ci serve un posto dove sgranocchiare qualcosa. Torniamo dall’edicolante, mettiamo anche mano al borsello per comprare l’info ma lui è gentile, ci ama di già, ci dà l’info senza voler nulla in cambio. Ci manda da un tabacchino con scommesse sulle corse dei cavalli. «Fa i panini», ci dice lieto, «sono buoni!».
Attraversiamo la strada evitando il sosia di Miyazaki in scooter e ci infiliamo nel tabacchi. Un ape, tre panini, tre birre, tre caffè, un pacchetto di Benson bianche, 28 €. Recuperiamo l’auto salutando il nostro edicolante, lo aiutiamo a chiudere la saracinesca. Se ne va con un amico, un signore quieto con la coppola che potrebbe tranquillamente essere Bernardo Provenzano. Filiamo verso la tangenziale, imbocchiamo il tratto ovest, tagliamo verso Assago, ci incastriamo in un traffico tipo strombazzamenti alle fontane per la finale vinta ai mondiali di Spagna ’82, van tutti al Filaforum. Altra pipì devastante da fare per noi maschietti, dove la si fa? «Io la sto facendo al bagno di Spizzico di fianco all’ingresso parterre!», ci fa la Trafford al cellu, la coppia Orla & Trafford è già in posizione d’accesso. La invidiamo moltissimo. Per la pipì, più che altro. Vediamo bagarini venirci incontro a piedi in tangenziale con cartelli scritti a mano e seminascosti, in compravendita di biglietti. Due li passiamo e tre chilometri dopo li incrociamo di nuovo! La notte è scura, pioviggina e io non credo di conoscere più di cinque pezzi dei Coldplay. Parcheggiare è un trauma, ce la facciamo per una botta di fortuna impossibile, riusciamo a incastrare il mezzo in un parcheggio a pagamento (4,5 €), tra una Yaris e un Mercedes berlina ultimo modello, sono entrambe grigio metallo ma il Merci sembra dire a Daigo «Stai molto attento a come parcheggi!». Daigo sta molto attento, lascia circa dieci centimetri a destra e a sinistra. Pipì nel parcheggio, sul cemento, una cosa che ho sempre odiato e mi capita più mai che di rado. Ma è fatta, siam pronti. Sfrecciamo oltre la spianata di cemento e lamiera di autovetture spente, seguendo un flusso oscuro di persone che han tutte lo stesso passo calibrato e s’infilan tutte in un sottopassaggio che sbuca al Filaforum. Davanti a Spizzico ci ricongiungiamo con la coppia Orla & Trafford, lei indossa il giubbo di lui per il freddo, lui litiga col tizio grosso al cancello che pretende di vedere se sul biglietto c’è scritto posti in piedi. Qui si entra solo se c’è questa scritta sul biglio. «Ce l’ho!», grida un tipo mingherlino in felpa con cappuccio saltando e sbarellando gli occhi, «Ce l’ho perdio!». Si entra, scale e aria fumosa nonostante il divieto, ma meno del solito. Il palazzetto è già quasi gremito, le luci ancora accese, riusciamo a finire a circa trenta metri dal palco, una struttura più larga che profonda, con un megaschermo sullo sfondo e diverse file di fari mobili appese in alto, tre postazioni per i tecnici video sospesi, i fonici sul palco per la prova strumenti e impianto.
Si sta bene, abbiamo spazio, si respira, c’è musica inglese in sottofondo, The Smiths soprattutto. Daigo incontra i suoi vicini di casa! Li saluta cordiale e stupito, poi chiama la moglie a casa per dirglielo, risponde il piccolo Tommy, che dice la sua prima e unica parola appresa da che è nato un anno fa: «Segheteìateefoica!». Daigo è in estasi da orgoglio. «Segreteria telefonica anche a te, Tommy, passami la mamma!», dice solo. Alle 21:20 circa il concerto attacca, si spengono le luci, il buio del Filaforum inghiotte la platea, lo sciame multicolore delle magliette sugli spalti riflette le ombre in modo disarmonico, un mare oscuro di coriandoli. Iniziano le urla, poi i flash dei telefonini che fotografano. E sul palco non c’è ancora nessuno. Queste pratiche imbecilli mi lasciano sempre un poco triste. Dico io, cosa stai fotografando? Il buio? Cosa urli a fare che non c’è nessuno sul palco? Imbecille che sei. Invece due minuti dopo si accende lo schermo di fondo come un fuoco bianco, l’enorme orologio digitale che scandisce rapidissimo il tempo, sul cielo bianco luminoso si disegnano le quattro sagome dei musicisti, Chris Martin è sul fondale di profilo, attaccano con Square One ed è già bolgia. L’impatto è devastante, pulito, loro sono nerovestiti, molto estetici, molto pacati ancora, molto affiatati e consapevoli del loro charme sul pubblico. Questi sono i nuovi U2, manca loro la carica eversiva della ribellione storica ma è solo questione di quando sei nato, non di amalgama, non di qualità. Queste cose ci sono, e c’è un leader che incolla gli occhi e canta con voce rotta ma che arriva inspiegabilmente al cuore, molto romantico, molto simpatico ed energico. Partono a raffica i pezzi noti, Politik e Yellow e Trouble e Shiver e un omaggio folk a Dylan nel pre-bis di routine, e gli altri pezzi dell’ultimo album, la title track in primis, e The Scientist e God Put A Smile e Parachutes e Speed Of Sound e poi Martin che approfitta di un cono di luce rossa sul palco ad attrarre gli sguardi per scomparire e riapparire magicamente a pochi metri da noi, avvinghiato alla ringhiera delle scale che portano all’anello di gradinate, terminare il pezzo in mezzo alla gente. Lo vedi da vicino ed è un ragazzo comune. Però è giovane, talentuoso e fortunato. Te lo ricordi la prima volta che l’hai visto in un video su MTV, correre in spiaggia con i capelli corti, addosso un giubbino fradicio col cappuccio, in un giorno plumbeo (Trouble). Oggi è il leader dei Coldplay, sta con Gwyneth, ha milioni di fan. Finché i quattro ragazzi di ? resteranno amici ci sarà quest’onda travolgente, questo fenomeno sonoro, questa alchimia modaiola. Finché ciò che fanno resterà così pulito e armonioso resisteranno, ma rimango in attesa di un album che li consacri definitivamente, un album che butti fuori singoli come piovesse.
All’uscita ripercorriamo il sentiero umano al contrario, ritorniamo appagati alle auto, ignari dell’inferno che ci apprestiamo ad affrontare, evitando tizi allucinanti, poliziotti, venditori di magliette dalla pelle color muschio, bibitai che propongono questa nuova bevanda che chiamano “acquabirra”, formula mista che mi ricorda le cioccorane di Harry Potter o i confetti di caccapuzza di Gigi Robot a Ciao Belli su Radio Deejay. Salutiamo Orla & Trafford, ci saluta anche un tizio mai visto, si spaccia per amico di un altro tizio mai sentito. Lo salutiamo comunque. Al parcheggio ci tocca pure la spiacevole situazione di dover avere a che dire col proprietario del Mercedes grigio metallo, e con la sua ragazza, milanesi fighetti da uccidere, preoccupati che se apriamo la portiera gli sciupiamo il gioiello. Certo se vai a un concerto rock il parcheggio selvaggio è piuttosto frequente, magari se vieni col Pandino è meglio, ti dispiace di meno se alla fine lo ritrovi rigato. Mi mettono così di malumore che persino l’infernale momento dell’uscita dal parcheggio passa in secondo piano. E vabbeh, cose che succedono ai concerti pure queste.

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Andrea Cisi

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