Biennale di Venezia 2003

alterato

Venezia, 15/06-02/11/2003

Premessa
Sia da subito ben chiara una cosa. Non sono un esperto di arte contemporanea e di certo non sono la persona più indicata per scrivere un articolo sulla Biennale di Venezia. Devo innanzitutto dire che ho avuto la fortuna di trovarmi in mezzo a quel piccolo mondo che è la Biennale (occorrono almeno due o tre giorni per visitarla in ogni sua parte) accompagnato dalla mia ragazza, la quale ha saputo aiutarmi a districarmi in una vera giungla di opere e relativi concetti di riferimento illuminandomi la strada, per quanto possibile. C’è da dire che già un grosso passo avanti per una persona come me è stato rendersi da subito conto di trovarsi davanti a un evento non riducibile alla semplice parola mostra/esposizione…
«La Cinquantesima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia vuole riflettere su come nel ventunesimo secolo una grande mostra possa realmente proporre la diversità in atto nell’arte contemporanea, attraverso la molteplicità dei linguaggi e la innegabile autonomia di nuovi contesti geografici, politici e culturali. […] Lo spettatore si troverà di fronte a diverse strade di ricerca che potrà percorrere in modo autonomo, concentrando la propria attenzione sulle singole sezioni, ritrovando un’esperienza a dimensione umana».
Con queste parole si apre l’opuscolo/rivista creato per presentare brevemente l’organizzazione e i contenuti delle varie sezioni della Biennale. Quello che effettivamente colpisce un visitatore “semplice”, “non preparato”, quale io mi sono trovato a essere, è in effetti il particolare tipo di approccio alla mostra. Non un percorso mostra, non un insieme di gallerie espositive, ma un conglomerato di unità indipendenti, che permettono allo spettatore di rimanere di volta in volta colpito dal contrasto creato dalla diversità di mezzi espressivi e dalle differenti visioni della realtà che si susseguono da un padiglione all’altro, di opera in opera, rendendo il visitatore letteralmente “vorace”, stimolandone la curiosità e l’attenzione.

Questo spiega in parte la scelta del tema di questa edizione della Biennale: Sogni e conflitti – La dittatura dello spettatore. Procedendo con la visita si scopre la necessità di ottenere una più ampia visione d’insieme che aiuta effettivamente a confrontare le varie sezioni alimentando un discorso mentale diverso per ogni visitatore.
Ogni spettatore, una mostra.
In realtà quello che mi ha colpito davvero è stato poco, relativamente alla mole incredibile di opere esposte. Ho personalmente avuto più volte la sensazione di trovarmi nel mezzo di una moltitudine di gente spaesata, che non ha ben presente cosa sta guardando. Non so se sia colpa dei visitatori non preparati o non abbastanza svegli, o se in effetti questa edizione della Biennale si sia rivelata non in grado di rivaleggiare con le precedenti edizioni, sta di fatto che l’esposizione è stata molto criticata da varie personalità dell’ambiente artistico (non a torto, io credo) secondo cui il curatore Francesco Bonami non è stato all’altezza del compito, andando a presentare un evento alquanto confuso, molto poco “curato”, lasciando così tanta indipendenza allo spettatore da metterlo in difficoltà.
Io mi limiterò a spiegare le tematiche e i contenuti delle varie sezioni dell’esposizione a grandi linee, rimandando all’ultimo le mie impressioni personali.

Le sezioni
La Biennale si sviluppa e prende forma in più luoghi all’interno della città di Venezia, arrivando ad estendersi fino alla darsena di Porto Marghera e oltre. Il paragrafo di seguito consta di un elenco delle varie sezioni della mostra e delle tematiche che ogni sezione affronta.
Ogni parte è infatti gestita da un singolo curatore sotto la supervisione del curatore della Biennale (per questa edizione, appunto, Bonami) che ha voluto lasciare completa autonomia a curatori diversi affinché potessero realizzare e rendere visibili le loro diverse e personali visioni. I giardini pubblici di Venezia, insieme all’Arsenale e alle Corderie dell’Arsenale, formano quello che può essere definito il corpo principale di questa “grande mostra”, che ingloba numerosi spazi espositivi, dal Museo Correr alle stesse piazze di Venezia che ospitano i grossi tubi di metallo facenti parte dell’opera The Cord, il cui scopo è di fungere da connessioni tra le diverse sezioni della mostra.

Il progetto The Cord, realizzato da Archea Associati e C+S Associati, è pensato per funzionare come un condotto comunicativo tra le diverse sedi della mostra: è costituito da vari segmenti di un condotto d’acciaio sulla cui superficie interna sono “trasportate” informazioni e messaggi riguardanti questa cinquantesima edizione della Biennale. Questi segmenti sono posti in vari punti della città di Venezia e hanno varcato i confini della città, essendo inoltre “apparsi” in molte piazze d’Italia.

I Giardini della Biennale
I Giardini Pubblici di venezia ospitano all’interno dei loro confini una trentina di edifici dalle dimensioni e dagli stili architettonici variabili. Ognuno di questi padiglioni è rappresentativo di una nazione, eccezion fatta per il padiglione Italia in cui sono esposte opere di artisti da più nazioni e che da solo ospita un’intera sezione della Biennale. Lo spettatore si trova di fronte una vera cittadella artistica, alla cui esplorazione occorre dedicare almeno un intero pomeriggio. Presso i Giardini sono presenti la sede della rassegna Ritardi e rivoluzioni (il padiglione Italia), lo spazio che ospita The Zone, dedicato all’arte contemporanea italiana (che abbiamo trovato chiuso causa manutenzione) e i padiglioni ospitanti le partecipazioni nazionali.

Ritardi e rivoluzioni, a cura dello stesso Bonami e Daniel Birnbaum, è «il frutto di scelte, legami, trasformazioni e connessioni tra artisti di generazioni e ambiti differenti, in un percorso che evidenzia più le deviazioni che i moti lineari» (Bonami).
All’interno di quest’area trova spazio la rassegna di gruppo degli autori internazionali e sono ospitate le opere di quaranta artisti da tutto il mondo. Visitandolo si passa da un ambiente all’altro senza ragionare, si è spinti a muoversi dall’inusuale dislocazione degli spazi che rende ogni ambiente mai del tutto isolato. Entrando in una sala ci si trova di fronte all’opera esposta senza mai uscire realmente dal flusso di movimento, ogni ambiente è creato in modo di lasciare intravedere cosa c’è oltre, stimolando di volta in volta la curiosità del visitatore, lasciando che si perda in un reale labirinto di sale e corridoi, costringendolo a tenere a mente le opere quali punti di riferimento in modo da non smarrirsi. Una volta dentro si è stimolati al voler vedere tutto senza lasciare nulla indietro. Si è costretti a ripassare in luoghi già visitati fino ad acquisire la giusta confidenza con le opere e il desiderio di uscire si percepisce soltanto dopo aver visto ogni cosa, in particolare. Ci si arriva un po’ per sbadataggine («Sono già passato di qui?»), un po’ lasciandosi trascinare dai flussi di persone finché non ci si accorge di aver colto ogni cosa sotto abbastanza punti di vista da potersi ritenere soddisfatti. Chi impiega due ore, chi quattro, chi butta dentro la testa ma non mette piede nel padiglione: si tratta certamente di una sezione particolarmente rappresentativa di questa edizione della Biennale in quanto riflette le diversità e le lontananze sia degli artisti che vi espongono sia dei visitatori, evidenziandone le diverse scelte di percorso e le diverse chiavi di lettura.
The Zone è stato realizzato dal gruppo di architetti A12 e curato da Massimiliano Gioni. Non avendo avuto modo di visitare questa sezione espositiva, che abbiamo trovato chiusa a causa di problemi tecnici, dobbiamo limitarci a fare nostro del materiale che ci permettiamo di “rubare” dagli opuscoli espositivi che ci siamo portati via da Venezia e da un articolo pubblicato su Art Dossier dal curatore Bonami. Secondo quanto abbiamo potuto capire dal materiale a disposizione, The Zone è uno spazio dedicato all’arte contemporanea italiana e ha lo scopo di «esplorare il confine tra arte visiva ed architettura»: si tratterebbe in effetti di un’installazione effimera che è anche spazio espositivo; un luogo di sosta ma anche di passaggio, in sintonia con la filosofia fai-da-te di questa edizione della Biennale.

Purtroppo altro non sappiamo dire, anche per noi questa The Zone rimarrà una grossa incognita.
Ogni nazione, dicevo, ha il suo padiglione, e ogni padiglione ospita uno o più artisti rappresentativi di quella nazione. I padiglioni sono molto diversi l’uno dall’altro: alcuni rispecchiano i canoni architettonici dei Paesi di appartenenza, altri hanno strutture più pretenziose, essi stessi opere d’arte. Sono strutture fisse, veri e propri edifici costruiti al solo scopo di ospitare gli artisti della Biennale, alcuni sono presenti da quasi un secolo. Al loro interno hanno esposto i più grandi artisti contemporanei, contribuendo a rendere la Biennale di Venezia uno degli eventi artistici più importanti a livello internazionale. Diventa difficoltoso descrivere uno a uno tutti i padiglioni e le opere che contengono, rimandiamo perciò a un altro paragrafo la descrizione in particolare dei padiglioni che ci hanno colpito maggiormente, vi basti per ora l’elenco delle nazioni e dei padiglioni che hanno partecipato a questa edizione della Biennale: 3) Australia, 4) Austria, 5) Belgio, 6) Brasile, 7) Canada, 8) Danimarca, 9) Egitto, 10) Francia, 11) Germania, 12) Giappone, 13) Gran Bretagna, 14) Grecia, 15) Islanda, 16) Israele, 17) Italia (il padiglione ospita il Premio Per La Giovane Arte Italiana 2002/2003), 18) Olanda, 19) Finlandia-Norvegia-Svezia, 20) Polonia, 21) Repubblica Ceca-Repubblica Slovacca, 22) Repubblica di Corea, 23) Romania, 24) Russia, 25) Serbia e Montenegro, 26) Spagna, 27) Stati Uniti d’America, 28) Svizzera, 29) Ungheria, 30) Uruguay, 31) Venezuela.

Arsenale e Corderie
Zona d’urgenza è a cura di Hou Hanru. L’espansione urbana si fa sempre più rapida e sempre meno pianificata, diventando così il prodotto di un’urgenza. Sono circa quaranta gli artisti che tentano di dare un senso e una forma a questo fenomeno che sta interessando soprattutto il contesto asiatico (a cui è prestata particolare attenzione). Un percorso che spazia dagli ammassi di cubicoli che ospitano i pendolari in Giappone a una serie di grattacieli che hanno la capacità di dividersi a metà o di piegarsi su sé stessi riuscendo così a evitare gli aerei kamikaze.

In La struttura della crisi, a cura di Carlos Basualdo, gli artisti raccontano a modo loro le crisi politiche, economiche e sociali dei loro Paesi di provenienza esaltando il concetto di periferia e di sopravvivenza come li intendiamo oggi.
Le Rappresentazioni arabe contemporanee sono a cura di Catherine David. Il Medioriente con i suoi conflitti, visti attraverso uno sguardo diverso da quello dei media internazionali, è un altro Medioriente. Quello che ci raccontano le opere di questa sezione è un Medioriente fatto di microstorie e microgeografie, che sfuggono le rappresentazioni mediatiche guidate e falsate dalla politica odierna.
In Il quotidiano alterato, a cura di Gabriel Orozco, sei artisti si lanciano senza freni «in un gioco espositivo che ha le seguenti regole: niente pareti, niente piedistalli, né vetrine, né video, né foto».
Stazione Utopia, a cura di Molly Nesbit, Hans-Ulrich Obrist e Rirkrit Tiravanija, è uno spazio è concepito come un luogo d’incontro. Un non-luogo, come l’utopia, in cui per tutta l’estate artisti, scrittori, giornalisti ecc. hanno avuto l’opportunità di incontrarsi dando vita a performance e discussioni circondati dalle piccole opere-ambiente realizzate da circa centosessanta artisti.

Altre sedi
Presso il Museo Correr si è svolta la rassegna Pittura: da Rauschenberg a Murakami, 1964-2003, frutto della collaborazione tra Biennale e Musei Civici di Venezia e curata sempre da Bonami. Il filo conduttore della mostra prende avvio dall’indiscusso successo di Rauschenberg alla Biennale del 1964, primo americano a dominare una rassegna da sempre saldamente in mani europee, che ha il merito di lasciare irrompere anche in europa la Pop Art, aprendo così un dibattito interno all’arte che dura tuttora. «Una mostra con cinquanta opere che vuole rappresentare il dipinto come ultimo e spesso unico referente della continua trasformazione dell’arte». Non abbiamo avuto l’occasione di visitarla ma, a giudicare dal materiale che abbiamo potuto visionare, ci siamo persi un evento che poteva sicuramente risultare interessante.

Altri interventi si sono svolti presso la darsena di Porto Marghera, dove ha preso forma il progetto Riserva artificiale, a cura dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, che si propone «il recupero di uno spazio industriale ormai in decadimento formato da uno specchio d’acqua circondato da relitti industriali restituiti, per così dire, al senso della loro esistenza e alle persone che hanno interagito o interagiranno con essi». Gli artisti dell’Accademia cercano di perseguire questo obiettivo promuovendo eventi e incontri in loco. Ancora a Venezia altre dodici performance di artisti sviluppatesi durante il corso della Biennale o presenti un po’ ovunque, dalle fermate del vaporetto alle vetrine dei negozi, e una ventina di eventi in varie sedi che comprendono proiezioni, concerti, esposizioni ecc.

Note conclusive
La maggior parte di questo reportage è costituita da pura descrizione senza pretese di critica. Abbiamo avuto la possibilità di vedere con i nostri occhi soltanto Giardini e Arsenale, impiegando peraltro ben due giorni interi, per questo motivo tutto il materiale sulle altre sezioni è frutto dell’abuso di opuscoli, cataloghi e ogni altra fonte informativa di cui siamo entrati in possesso. In particolare le parti virgolettate sono riportate direttamente dal testo da queste fonti.

In ogni caso è stato certamente un evento notevole, considerando la mole di “cose” da vedere e con cui entrare in contatto è difficile non rimanere entusiasti. Di contro c’è da dire che durante la visita, ma soprattutto dopo, a freddo, discutendo di questa edizione della Biennale anche con persone più preparate, mi è parso di cogliere una certa insoddisfazione. Nonostante alcune sezioni siano realmente e semplicemente spettacolari, nel vero senso della parola, tanto da farti dimenticare le effettive motivazioni dell’esistenza dell’opera, in generale è più forte il senso di confusione e mancanza di senso…
Non tutto è piaciuto; nonostante le spiegazioni lodevoli sulle opere affisse alle pareti di ogni sala (a volte veramente dai toni assurdi…), ci è più volte sembrato che le cose fossero realmente “scadenti” dal punto di vista artistico. Comunque si sa, i gusti sono gusti…
Abbiamo avuto la possibilità di scattare foto soltanto ai Giardini della Biennale. Tutte le altre immagini sono tratte da articoli e altro materiale in nostro possesso.

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JJSante

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