Asso di fiori
L’Antica Osteria del Quinto nel 2004 festeggia i dieci anni dell’attuale gestione, e sono stati dieci anni di successi se è vero, com’è vero, che Quinto, a dispetto di mode e tendenze, è sempre rimasto tra i locali di punta della vita notturna cremonese.
Nato come osteria di poche pretese, i suoi elementi distintivi iniziali erano buon vino venduto a litri, luce soffusa e ambiente a prova di vandali, nel senso che nessuno faceva storie se rovesciavi il vino, sbaiolavi in terra e incidevi il tuo nome sui tavolacci di legno. In realtà questo è il tipo di locale che a Cremona ha poca fortuna, ma Quinto aveva dalla sua una fortuna inaspettata: la collocazione strategica.
Al difuori della cerchia cittadina, confinato in una frazione di cui neanche gli abitanti conoscono il nome, invisibile finché non ci si finisce dentro, Quinto è raggiungibile solo a patto di sapere dov’è. Questa caratteristica apparentemente negativa ha un risvolto fondamentale: da Quinto non ci si finisce per caso.
Ci si va la prima volta perché ce ne parla qualcuno che c’è già stato e sa come arrivarci. E ci si va in macchina, perché è impensabile fare altrimenti, il che permette di tenere lontane le compagnie scolastiche e adolescenziali. Le compagnie, non gli adolescenti, si badi bene, che sono la linfa vitale del suo continuo rinnovamento, epperò i giovanissimi presenti sono solo quelli abbastanza scafati da frequentare persone più grandi, quindi automunite, e questa selezione naturale ha l’ulteriore effetto benefico di favorire l’afflusso femminile, il che non guasta mai in nessun locale.
Poi ci si torna per tanti motivi: perché ci si è trovati da un’altra parte, ma non si sa dove andare e siccome lì c’è parcheggio… Tanto si è già in compagnia e se non c’è posto per tutti si va via al volo (ma si finisce ad aspettare che si liberi un tavolo). Ci si va perché è bello fare i coglioni sulla Via Sesto a 100 km/h e se ci si è andati in moto si può continuare a farlo sgasando davanti all’ingresso, così tutti vengono a vedere chi è che fa lo sborone. Ci si va per giocare a carte o perché così poi si va al Nuvolari che è vicino. Ci si va perché ha l’arredo fighetto con le sedie tigrate e le lampade in ferro battuto o perché ha i tavoli di pietra e il gazebo della birra. Perché mettono la lounge o perché mettono il reggae, perché si sta tranquilli o perché sono tutti lì e ci si può far vedere. Ci vanno quelli che non escono mai e i protagonisti della vita mondana, i metallari e i cannaioli, le coppie e le compagnie numerose. Ci si va a vent’anni, a trenta e anche a quaranta. A bere birra, vino o cocktail. Ci si va perché d’estate è il posto più fresco di Cremona (per forza, è in piena campagna!) o perché si mangia bene. Perché i camerieri sono fighi o perché le cameriere sono fighe. Insomma, ogni cliente vi può citare il suo buon motivo per andare da Quinto, e spesso le motivazioni degli uni sono in contraddizione con quelle degli altri, ma allora qual è l’elemento che accomuna gli astanti che affollano l’osteria?
Beh, sono tutti cremonesi!
Quinto soddisfa alla perfezione le comuni esigenze di ogni nottambulo cremonese: esclusività e popolarità.
Bandite le cricche di adolescenti ciclisti che infestano i sabati del centro, spariti i genitori tassisti che intasano Jungle e dintorni, assenti gli sprovveduti e ignari (nonché rari) immigrati nella Cremona notturna che si chiedono cosa facciano i cremonesi prima di affollare Nec Ente, Nuvolari e discoteche varie per le quali loro hanno sfidato muri di nebbia e chilometri di desolata campagna, evitate tutte queste sciagure, solo qui il cremonese si sente veramente a suo agio. I frequentatori di Quinto sembrano tutti guardarsi come a dire: «Anche tu qui?». «Certo, pensavi mica che andassi in centro con il casino che c’è!», ma sono ben contenti di ritrovare il brulichio di conoscenti e facce note, e magari di scoprire legami insospettati, materiale per nuovi succosi pettegolezzi da riferire e modificare all’infinito, senza invasioni “straniere” del proprio microcosmo.
L’altra grande insidia del locale cremonese, il sempre-il-solito-postismo, è tenuto abilmente a bada grazie al rinnovo effettivo e progressivo dell’ambiente che cambia e cresce con i suoi clienti, e da quello apparente legato alla differenza tra le versioni estiva e invernale, che dà l’illusione di frequentare locali diversi, e in perfetta sintonia con la dicotomia del clima e del conseguente abbigliamento padano.
Quinto rappresenta il perfetto distillato dei luoghi di ritrovo nostrani e un luogo privilegiato, quasi un laboratorio, per studiare e analizzare il comportamento di quella strana specie che popola le terre sulla sponda sinistra del Grande Fiume.
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