Cremona

Adelante, compañero!

Incontro con Alberto Granado alla Sala Forum, 13/11/2005

La domenica mattina dormo. Fino a mezzodì. Sempre. Quasi sempre.
Domenica 13 novembre (alé! Sant’Omobono! Da piccolo il mio 13 novembre mattina passava con mia nonna, che mi portava a vedere il cadavere decomposto del nostro Patrono), alle 11:00, è successa una cosa mica tanto pubblicizzata, ma che ha lo stesso fatto il pienone per il valore inestimabile dell’evento. Presso la Sala Forum di Via Speciano (la sala che ospitava la vecchia sede del Centro Fumetto), l’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba ha organizzato un incontro con Alberto Granado, medico, scienziato, ma soprattutto, nell’immaginario collettivo, easy rider al fianco del giovane, non ancora Che, Ernesto Guevara, in una leggendaria traversata in motocicletta per l’America Latina, viaggio che ha ispirato il recente film di Walter Salles I diari della motocicletta.
In realtà l’incontro si colloca all’interno di un vero e proprio tour di conferenze, intitolato … E il viaggio continua!, che ha toccato quasi tutta la Lombardia (Milano, Pavia, Bergamo, Rovato in provincia di Brescia, Cremona, Lodi, Olgiate Comasco, Como, Sondrio, Abbiategrasso, Cologno Monzese, Varese, Brugherio, Corsico in provincia di Milano). Che culo!
L’incontro comincia con grande puntualità. All’entrata, Granado è sommerso dagli applausi, ma noi (la mia ragazza e io) li sentiamo e basta, non avendo ancora trovato una posizione da cui sia garantita la visibilità del tavolo della conferenza. Ci stabiliamo belli seduti per terra, in prima fila, laterali. Ora vedo bene e posso anche scattare qualche fotografia. Tante facce note tra i presenti. Piacevole atmosfera di sinistra pervade l’aere.
Alla destra di Granado siede Vittorina Bozzi, segretaria del Circolo Hilda Guevara, cioè la sezione cremonese dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba. A sinistra di Alberto sta invece Manuel Benyacar, dell’Associazione Latino Americana di Cremona, che ha il ruolo di traduttore dallo spagnolo all’italiano e viceversa. Molto simpatico e appassionato nella traduzione.
Vittorina Bozzi dice una cosa importante: la stampa locale (La Provincia, in primis) ha di fatto quasi “boicottato” l’evento, non parlandone nei giorni precedenti (e, aggiungo io, concedendo solo un trafiletto di centocinquanta parole e due fotografie formato francobollo nella giornata di lunedì). Il discorso sembra comunque più generale, riguarda cioè una sorta di inimicizia “storica” tra il giornale e il Circolo. Semplice divergenza politica (La Provincia ha una connotazione notoriamente destrorsa) o c’è dell’altro? Non mi addentro ulteriormente nella questione, esprimo solo il semplice concetto che segue: secondo me, l’attenzione nei confronti di un incontro come questo, con un ospite come questo, sarebbe dovuta essere altissima, a prescindere dalla collocazione politica dell’invitato e degli organizzatori, in primo luogo perché è stato un avvenimento, di indiscutibile rilevanza, tenutosi sul territorio (di più: nel centro della città), in secondo luogo per la portata culturale dell’evento stesso (mi pare un po’ difficile sostenere il contrario, quando si ha di fronte un arzillo dottore ottantatreenne, che ha vissuto con un’intensità che il 99,9% di noi non conoscerà mai). Poco male, comunque: Sala Forum strapiena e brulicante, grazie quasi solo al passaparola.

La breve introduzione serve praticamente a dire che non ci sarà un monologo: Granado preferisce costruire tutto il dibattito rispondendo a domande. Comincia un ragazzo che ho presente, si chiama Cesare, che chiede ad Alberto quanto il mito di Che Guevara sia vicino (o lontano) dalla conoscenza personale che lui ne ha avuto. Granado risponde in modo allo stesso tempo ovvio e straordinario (condenso qui le risposte ad altre domande): Ernesto era un uomo, non un semidio o una figura mitologica. Era un uomo di intelligenza e di forza (fisica e d’animo) fuori dal comune, di determinazione contagiosa, di altruismo innato. Per questo riuscì a fare cose che sembravano impossibili. Ma, chiede qualcun altro, se fosse vivo oggi? Be’, dice Granado, probabilmente a settantasette anni avrebbe qualche difficoltà nel ruolo di guerrigliero, ma continuerebbe a portare avanti progetti di affermazione della dignità umana, ancora in America Latina, oppure forse in Africa. Una delle ultime domande la fa un ragazzo delle superiori: che effetto fa vedere il volto del Che sulle magliette e su mille altri oggetti? Granado, sulle prime, aveva detestato la commercializzazione del volto dell’amico e compagno dopo la sua morte: poi se n’è fatto una ragione, ma precisa che l’espressione facciale quasi iraconda che tutti conosciamo non è quella del vero Ernesto Guevara: lo scatto della fotografia che fece epoca avvenne in un periodo in cui c’erano state azioni di sabotaggio, e per questo il Che era nervoso e arrabbiato. Ma nella maggior parte delle fotografie e dei filmati dell’epoca, possiamo scorgere sul viso del Che un sorriso, o una luce negli occhi, insomma i segni di un ottimismo che mai lo abbandonò. Il motivo per cui Granado ha alla fine accettato di vedere i giovani con le magliette, le bandiere ecc. è che questa generazione utilizza quel volto anche come simbolo di ribellione alla generazione precedente, che non è riuscita a far cambiare le cose in modo significativo nel panorama mondiale.
Il secondo grande argomento affrontato è la Cuba dei giorni nostri. Qualcuno, giustamente, chiede a Granado che cosa pensa di Fidel Castro. «La pregunta clásica!», risponde Alberto (risate). Poi glissa un po’ sulla figura di Castro in sé, dice che è comunque una guida carismatica, ma che la rivoluzione non l’ha fatta solo lui; parla delle grandi battaglie condotte sul territorio cubano, una per generazione, a cominciare dalla lotta all’analfabetismo («Un pueblo libre es un pueblo culto»). Loda la composizione della classe politica cubana, all’interno della quale pochi superano i quarant’anni; mentre risponde ad altre domande parla dell’embargo, situazione tragica nella quale versa il Paese. L’esempio più significativo è quello dei medicinali: chi da Cuba arriva in Florida viene accolto come una sorta di eroe che sta fuggendo dal comunismo e fornito di tutte le medicine necessarie, mentre chi sta realmente morendo a Cuba non può curarsi. Del resto, la situazione di malasanità è giocoforza tragica, quando si è osteggiati dalla maggiore potenza farmaceutica mondiale. L’economia cubana, bloccata negli scambi dagli Stati Uniti, deve quindi appigliarsi al turismo, fattore che non vale nulla dal punto di vista culturale, ma che quantomeno rappresenta un tornaconto monetario al momento irrinunciabile. L’importanza della cultura viene sottolineata da Granado anche con la dicotomia libro/jeans: se i giovani si terranno il primo senza barattarlo per i secondi, la situazione cubana futura non potrà che migliorare.

Si parla qua e là anche del film I diari della motocicletta; le domande principali sono due. Granado si è identificato nel Granado del film, ritratto come allegro, scanzonato, quasi burlone, contrapposto a un Guevara serioso e impegnato? Alberto risponde di sì, trova che gli attori abbiano recitato con la testa e con il cuore. Aggiunge che, all’inizio del viaggio intrapreso, si sentiva il leader tra i due, ma, a mano a mano che il viaggio proseguiva, si accorse che il “capo” era sempre più Guevara. Un altro paio di quesiti vertono sulla veridicità di un episodio specifico, narrato nel film con toni forse un po’ troppo epici secondo qualcuno dei presenti (non mi esprimo perché non l’ho ancora visto), cioè l’attraversamento del Rio delle Amazzoni a nuoto da parte del Che, cosa che appare impossibile. Tra l’altro, secondo l’autore della domanda, il luogo di partenza (un lebbrosario) e il luogo di arrivo (una colonia) si trovavano sulla stessa sponda del fiume. Granado contesta pacatamente. Ci si mette d’accordo quando si capisce che a essere attraversato non è stato tutto il fiume da riva a riva, ma da una riva a una diramazione. Sempre l’autore di questa domanda, che ha viaggiato in America Latina, afferma di aver conosciuto un uomo, curato a un braccio da Guevara, che ora si fa chiamare Che Silva. Granado lo ricorda e sorride. C’è spazio anche per una curiosità: un ragazzo che parla in spagnolo chiede a Granado perché nel film non si sia mai utilizzata la parola culeado, che significa né più né meno che “inculato” e di cui si fa abbondantemente uso nella lingua parlata. Granado accetta la critica, e Manuel, che traduce in italiano, aggiunge che effettivamente la cosa è un po’ innaturale: sarebbe come fare un film in cui un cremonese non dice mai fìia (risate).
La mattinata volge al termine. Viene ricordata l’iniziativa Libertà per i cinque!, volta alla scarcerazione di cinque cittadini cubani imprigionati a Miami con l’accusa di aver messo in pericolo la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, quando in realtà raccoglievano informazioni sui gruppi paramilitari e sulle attività della mafia cubano-americana. Ultimi applausi per il piccolo grande Alberto Granado, che si alza (bastone alla mano), sorride, scambia un saluto, un abbraccio, un bacio, si rende disponibile per qualche fotografia. Ed eccoci al volo immortalati con lui (grazie Ribo). In automatico, sfodero il pugno sinistro alzato da eterno resistente.

Chi ha prenotato andrà a pranzo da Mellini assieme a Granado, anche la mia ragazza va a pranzo lì ma per conto suo. Giusto il tempo di acquistare una spilletta (naturalmente del Che) e di farmi venire un colpo per via del prezzo (4 €, ma è un prezzo di sostegno all’Associazione), ed è tempo di tornare a casa, dopo una domenica diversa, dopo un Sant’Omobono diverso, in compagnia di un vecchio cuore rivoluzionario.
Adelante, compañero!

Riguardo l' autore

McA

Si registra sul Forum di Cremonapalloza in data 01/02/03 senza farlo apposta e senza sapere che quel momento costituirà davvero un nuovo «Via!» della sua vita.
Nel 2006 è tra i fondatori dell’Associazione Cremonapalloza, di cui ricopre da sempre il ruolo di Segretario.
Ama il cinema, il rock e la Cultura in generale.

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