Lo spettacolo di Roberta Biagiarelli al Circolo Arcipelago, 07/05/2006
«Non trovo un solo misfatto cui ho assistito negli ultimi tempi, in relazione al quale io non abbia capito entrambe le parti. Non scusato, questo no, ma capito. Gli esseri umani col loro accecamento. Questa coazione a capire mi sembra un vizio da cui non riesco a liberarmi e che mi isola dagli altri».
Leuco, Medea, Christa Wolf, 1996
È difficile scoprire quello che è stato il conflitto nei Balcani, e accorgersi che è passato nelle orecchie e negli occhi e che non gli è stata posta attenzione. È devastante riscoprirlo, per coincidenze, e catapultarsi subito dopo a toccare i segni di quella tragedia. L’effetto Bosnia avvolge lentamente, perché all’arrivo in quelle terre l’impressione è quella di un Paese semplice, dagli antichi sapori, un po’ arretrato ma con un tocco di protomodernità. È quando si comincia ad accorgersi che, di fianco all’umile lavoro di ricostruzione, ci sono i palazzi crivellati di proiettili, e ci sono i buchi delle granate per terra, sempre di più e sempre più vicini, che si riempie la testa di un’angoscia triste e arrabbiata, che si realizza di essere in un posto che non si poteva immaginare, in un posto dove c’è stata la guerra e che non ha la possibilità di rialzarsi.
E una volta tornato a casa, tornato alle proprie intime contraddizioni dell’esistenza che si è capitato di avere, si deve trovare un modo per non dimenticare che si odia la guerra. E il modo è non dimenticarsi di un popolo al quale si è capitato di affezionarsi colpevolmente per caso. E il modo ancora più vero è continuare a fare e a mettere in pratica azioni di sensibilizzazione, continuare a parlarne. Roberta Biagiarelli continua a parlarne, e in A come Srebrenica mette in scena un monologo che parla di «una storia dove la ragion di Stato e gli interessi di politica internazionale hanno giocato a Risiko con la vita di decine di migliaia di persone».
La città di Srebrenica è stata teatro di uno dei più sanguinosi stermini di massa avvenuti in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale: dopo tre anni d’assedio, l’armata serbo-bosniaca è entrata a Srebrenica e ha stuprato, mutilato, ucciso e sepolto vive migliaia di persone, nel colpevole silenzio della politica internazionale. Ottomila, probabilmente dodicimila, uomini musulmani-bosniaci trucidati in una manciata di giorni a partire dall’11 luglio del 1995. Nel colpevole silenzio della politica internazionale.
A come Srebenica è una storia che ti trascina nella follia della guerra tutti contro tutti, nella quale anche la popolazione si è odiata a sangue, in un’escalation di violenza come è stata, nei terribili fatti, la tragedia del popolo balcanico. È una storia vista da una donna tornata bambina, che scruta l’orizzonte e si chiede se la terra che le sta di fronte, ma non vede, sia diversa dalla sua. In quegli ottanta minuti sale la ferita, dalle sfumature inspiegabili, che non riesce a spiegare appieno come l’uomo sia riuscito a raggiungere deliri di violenza inauditi, contro donne, uomini, vecchi e bambini.
Roberta Biagiarelli rapisce per il suo spessore artistico, la sua corporeità e per i suoi sbalzi di umore e di voce sul palcoscenico. Stordisce quando sussurra la freddezza e la velocità della morte degli uomini. Paralizza la mente quando ansima e descrive quello che è successo ai bambini. Gela il sangue quando urla il dolore delle donne. Sarebbe fin troppo maldestro il tentativo di spiegare come ci si sente alla fine del suo spettacolo.
«Molte sono le cose terribili, ma nulla è più terribile dell’uomo».
Sofocle, Antigone