Milan-Napoli 3-0, Stadio Giuseppe Meazza, Milano, 28/02/2011
Se siete milanisti, andate sul web; cercate un’immagine ad alta risoluzione di Milan-Napoli 3-0; stampatevela per bene; comprate una cornice; infilateci la fotografia; appendetela nella vostra cameretta. Serate come questa riconciliano con il calcio e rinsaldano l’amore eterno per la propria squadra del cuore, soprattutto per chi, come me, ha avuto il culo di ripresentarsi a San Siro dopo qualcosa come dieci anni, e azzeccare il partitone che non dimentichi più.
Breve excursus sul tempo che passa. Questa vittoria roboante arriva per me direttamente dopo due partite viste allo stadio nel contesto della Champions League 2000/2001: due pareggi per 1-1. Il primo fu contro il Leeds, l’8 novembre 2000, nell’inutile ultima giornata del primo girone di qualificazione (eravamo già passati al secondo turno. Segnò Serginho). Il secondo, doloroso, contro il Deportivo La Coruña, il 13 marzo 2001, nella decisiva ultima giornata del secondo girone (sì, ai tempi si facevano due gironi per approdare ai quarti, per un totale delirante di partite di coppa). Il rigore di Shevchenko non bastò: fu l’addio all’Europa e, di fatto, la partita che fece saltare la panchina di Zaccheroni. Ricordo il ritorno a casa in pullman, con Cudiel e Balconz e il Milan Club di Soresina, tutti tristi, qualcuno in lacrime, qualcun altro che lo consolava dicendogli: «Te te ghet de vìs urgugliùus de vìs milanista!».
Nel 2008, poi, le mie altre due volte allo stadio erano state, se possibile, ancor più deludenti: uno 0-0 di campionato, a febbraio, a Parma (ne trovate il reportage qui), partita storica (millesima presenza di Paolo Maldini da professionista) ma di certo non bella; e un altro, surreale, 0-0, a Cremona, in un’amichevole estiva contro la Cremonese. Se ci sono delle partite che, per definizione, finiscono con delle gragnuole di gol, sono proprio le sgambate senza niente in palio tra squadre di diversa categoria; e invece nulla, solo due ore di noia, ad arrostire sotto il sole di luglio, sugli spalti dello Zini.
Questa digressione per spiegarvi che con il Milan, allo stadio, ero abbonato ai pareggi, ed ero pure in credito con la fortuna. Tutto cancellato, e credito ampiamente saldato, in questo fantastico lunedì (!) 28 febbraio 2011, posticipo della ventisettesima giornata della Serie A 2010/2011. La proposta ufficiale mi era arrivata da Sdrof, tifosissimo del Napoli: «Andiamo a San Siro a vedere il Derby della Cultura!». Per noi, Milan-Napoli, o Napoli-Milan, è questo: vedere la partita insieme (di solito in tv, a casa di Sdrof), commentare tutto, rimembrare il periodo degli olandesi e di Maradona, amare le nostre squadre spettacolari, insultare le altre e soprattutto non sfotterci, del tutto in modalità antibar, facendo vincere lo Sport, comunque si concluda la sfida. Rispondere affermativamente all’invito di quest’uomo ad andare a San Siro insieme, capirete, è stato un attimo.
Ci siamo però mossi tardi per una partita simile: il Milan è in testa alla classifica dalle prime giornate di campionato, il Napoli è secondo e gioca il miglior calcio. Gli ultimi biglietti disponibili sono per il terzo anello rosso, sopra la tribuna, quasi all’angolo con la curva dei tifosi napoletani. Detto così sembra piccionaia, ma a San Siro si vede da dio ovunque, perché gli spalti si sviluppano del tutto in verticale, non ad anfiteatro. La sensazione, di cui un po’ ci si dimentica se si frequenta poco il Meazza, è quella di essere a strapiombo sul campo. I giocatori sono tutti lì. Splendido. Al nostro fianco ci sono anche Mike e Luca, amici di Sdrof, valtellinesi fuori sede a Milano, e milanisti.
Salto indietro di cinque minuti, in un tentativo (vano, credo) di trasposizione scritta di una sensazione indescrivibile: il brivido dato dal ruggito di San Siro. Prima del fischio di inizio, il ribollire degli ottantamila è impressionante già da fuori, nel piazzale, senza nemmeno essere entrati; i boati che scandiscono i cognomi dei rossoneri, all’unisono con lo speaker, fanno pensare all’inizio di un’epica battaglia.
Arbitra Rocchi di Firenze. E toscani, anzi, entrambi livornesi, sono anche i due allenatori, Allegri e Mazzarri. Il nostro mister schiera Abbiati in porta; Abate, Nesta, Thiago Silva e Jankulovski in difesa; Gattuso, Van Bommel e Flamini a centrocampo; Robinho alle spalle di Ibrahimović e Pato in attacco. Per i partenopei scendono in campo De Sanctis tra i pali; Campagnaro, Paolo Cannavaro e Aronica come linea difensiva; Maggio, Pazienza, Gargano e Dossena in mezzo al campo; Hamsik e Mascara a supporto di Cavani in avanti.
Si parte. Non per fare il profeta che vince facile, col senno di poi, ma sento da subito che tutto girerà per il verso giusto. Il primo tempo, pur privo di episodi eclatanti, in pratica lo giochiamo solo noi. Il Napoli non è il solito bel Napoli, non riesce a esprimersi: il nostro centrocampo surclassa il loro, in particolare abbiamo un Van Bommel in stato di grazia (risulterà tra i migliori del Milan, a fine partita), che s’impone in mezzo al campo con grande autorevolezza. E si capisce immediatamente che Pato è in serata: si muove, lotta, s’inserisce bene in un paio di occasioni (in una delle quali si ritrova solo davanti al portiere, ma è pescato in fuorigioco), trova lo spazio per il tiro a porta semisguarnita, ma Aronica respinge. Il Paperino brasiliano è così grintoso da farsi anche ammonire (cartellino giallo meritato) per una spinta sullo stesso Aronica, nel tentativo di recuperare rapidamente il pallone a gioco fermo. Ci provano Ibra, Gattuso e Van Bommel, con delle mine che però escono largamente, oppure vengono ribattute. La nostra difesa, nel frattempo, non sbaglia nulla (per quel poco, quando è chiamata in causa): Thiago Silva è la sicurezza personificata, e Nesta, nonostante gli infortuni subiti anche quest’anno, c’è. Compitino e niente più per i terzini, mentre Abbiati è spettatore non pagante: sta giusto a guardare una ciabattata di Cavani perdersi sul fondo, verso l’inizio. Insomma, zero patemi d’animo. Anzi, il gol sembra nell’aria. Tutti negli spogliatoi.
Nella ripresa il Milan attacca verso la porta sotto la Curva Nord, quindi, fortuna nella fortuna, noi vediamo da più vicino lo spumeggiante secondo tempo. Pochi minuti, ed ecco l’episodio che sblocca la gara: Gattuso crossa, Ibra prova il colpo di kung fu da distanza ravvicinata, ma Cannavaro lo anticipa, alzando di testa un brutto campanile che spiove sulla sinistra dell’area piccola. Pato colpisce di testa per ributtare il pallone in mezzo, Aronica ci piazza un braccio. Rigore. Ora: dalla gradinata non s’è capito nulla. Rivedendo le immagini alla moviola, è vero che la distanza tra il braccio di Aronica e la testa di Pato è irrisoria, ma è anche vero che il difensore partenopeo poteva cercare di intervenire anche lui di testa, o almeno di frapporre il busto. Il classico rigore su cui non si sarà mai tutti d’accordo.
Sul dischetto va Ibra, con la consueta freddezza.
De Sanctis intuisce, ma non ci arriva.
San Siro esplode, 1-0.
Il primo a saltare addosso a Ibra per festeggiare è proprio Pato, checché ne dicano i fautori della teoria secondo la quale non ci sarebbe feeling tra i due strepitosi attaccanti. E chi si lamenta della supposta generosità con cui è stato concesso il rigore, attribuendo a un torto arbitrale la sconfitta del Napoli, farebbe bene a ricordare che, prima e dopo il gol, De Sanctis ha salvato il risultato tre volte: sullo 0-0, colpo di reni in risposta a una splendida conclusione schiacciata al volo da Van Bommel, direttamente su calcio d’angolo di Robinho (l’olandese avrebbe meritato il gol, a coronamento dell’ottima prestazione personale); poi, sull’1-0, gran parata nell’angolo basso alla sua sinistra, su tiro a giro di Pato; e infine, mezzo miracolo di istinto, da grandissimo portiere, sul tap-in di Robinho, arrivato a botta sicura su passaggio – ancora una volta – di Pato. Il tutto a fronte di una partita (in)offensiva dell’attacco azzurro con zero tiri in porta contro i cinque del Milan (più parecchi altri tiri insidiosi fuori). In virtù di queste considerazioni, con il portiere del Napoli migliore in campo tra i suoi e del tutto incolpevole sui tre gol, la vittoria rossonera parrebbe appena appena legittimata!
Siamo attorno alla mezz’ora del secondo tempo. Il Napoli è leggermente sbilanciato, Ibra ha spazio e allora inventa uno spettacolare passaggio no look, mettendo in movimento Pato sulla sinistra. Patinho, sospinto dalla curva di cui è idolo, si invola sulla fascia, converge leggermente, temporeggia e infine mette in mezzo all’area un palloncino coi fiocchi. Dalle retrovie sta arrivando come un treno quel fantastico giocatore che risponde al nome di Kevin-Prince Boateng, subentrato da meno di un quarto d’ora a Robinho. Il ghanese non deve far altro che impattare, indirizzando in rete. 2-0, ed è festa. Boa esulta rabbioso, in the face a noi, togliendosi la maglia e sfoggiando il fisicone tamarro tatuato. Alé.
Solo un paio di minuti dopo, è l’estasi. Contropiede, Pato fa danzare il pallone tra due avversari: uno dei due potrebbe staccarsi e contrastarlo, invece entrambi commettono l’errore di indietreggiare e basta. Ibra è in arrivo, il Papero si volta e lo vede, ma non gli dà la palla: il momento in cui potrebbe dargliela è fondamentale, perché lo svedese mette in apprensione i difensori per quell’attimo che consente al brasiliano di prendere la mira indisturbato.
Il destro di Pato disegna una parabola da sogno.
De Sanctis vola, ma non può nulla.
La sfera si insacca all’incrocio dei pali, sulla sua sinistra.
Delirio.
Con il meraviglioso gol del 3-0, Pato si conferma come match winner e migliore in campo in assoluto: un rigore procurato, un assist e un gol, oltre a tutto il resto. Roba da 8 in pagella.
Non scherza neanche Zlatan Ibrahimović, con una marcatura su rigore, il lancio che innesca l’azione del 2-0 e la sola presenza fisica, un incubo per le difese altrui, che, ne resto convinto, in occasione del 3-0 contribuisce a lasciare Pato libero di andare a rete, scrivendo i titoli di coda della partita.
Per la cronaca, sono entrati in campo, per noi, anche Oddo (al posto di Abate) ed Emanuelson (per Jankulovski); nel Napoli, Zuniga, Sosa e Yebda hanno rilevato rispettivamente Mascara, Maggio e Gargano. Ammoniti, oltre al già citato Pato, anche Boateng, Gargano e Aronica (per il ben noto fallo di mano della discordia).
Canti di trionfo, «Chi non salta nerazzurro è!» ripetuto ad libitum, c’è anche un coro poco elegante e razzistoide contro Eto’o (ma devo ammettere che mi ha divertito, e l’ho cantato anch’io. Ho i miei momenti di debolezza). Nello sportivo abbraccio del post-partita, mentre defluiamo fuori dallo stadio per beccare pioggia e freddo e fanghiglia e scarpe inzuppate, ma anche per divorare un paio di panini con la cotoletta d’ordinanza, vedo Sdrof comprensibilmente deluso, ma c’è poco da dire, dopo una gara nella quale il Napoli non c’è proprio stato. Sarebbe sbagliato definire difensivo o attendista l’atteggiamento dei partenopei: semplicemente, a San Siro è sceso in campo un Napoli stranamente arrendevole, non battagliero. La stecca all’appuntamento importante, comunque, non scalfisce per niente la clamorosa stagione della squadra di Mazzarri e del tridente Hamsik-Cavani-Lavezzi (quest’ultimo assente per squalifica), ora terza, superata in classifica dall’Inter.
Già, i nerazzurri son lì che premono, sotto di cinque punti in classifica. E il Napoli, per nulla fuori dai giochi, sta appena sotto, a meno sei. Da qui alla fine del campionato mancano undici gare: noi dobbiamo andar dritti per la nostra strada, cercando di disputare partite come questa, se vogliamo portare a casa uno scudetto che in bacheca manca dal 2004, e di cui i tifosi hanno fame.
Forza Milan!