Lo spettacolo di Ascanio Celestini al Teatro Ponchielli, 27/01/2008
Partecipare alla Giornata della Memoria è un dovere. Non dimenticare le atrocità compiute dal nazifascismo è un dovere. Ricordarsi che quegli atti che chiamiamo disumani sono stati compiuti da umani è un dovere.
Ma non è detto che il dovere non possa accompagnarsi al piacere, ed eccomi allora a scrivere due righe sul fantastico monologo teatrale di Ascanio Celestini, intitolato Radio clandestina e messo in scena proprio domenica 27 gennaio 2008, davanti alla platea di un Teatro Ponchielli (quasi) esaurito.
La scenografia è ridotta all’osso, ma anche particolare. Poco sopra la testa di Celestini passa una trave di legno a cui sono appese tre lampadine comuni, che vengono accese, spente o mosse dall’affabulatore stesso. Dietro di lui, una sedia. Il risultato è un quadro di Caravaggio: dal buio pesto emergono parte del volto dell’esile attore, la lunga barbetta da capra, le mani.
Ascanio, senza indugio e senza le a volte pesanti “spiegazioni”, introduce subito la cornice esterna, il “pretesto”. Racconta di quando una signora anziana e di bassa statura (’a bassetta sarà il suo nome) gli si era un giorno avvicinata per strada, chiedendogli di leggerle alcune offerte immobiliari di ’fittasi e vendesi. Lei, infatti, è analfabeta. E da questo fatto, tutto sommato raro oggi, ma ben più comune sessanta o settant’anni fa, parte il racconto nel racconto. Negli anni della guerra, a Roma, erano molte le persone analfabete che andavano al fu Cinema Iris, a Porta Pia, a farsi leggere dal nonno del narratore gli annunci dei tedeschi sui giornali. La storia ha il suo snodo narrativo principale nell’arco di due sole giornate: il 23 marzo 1944 – l’attacco partigiano in Via Rasella: muoiono 33 soldati delle SS – e il giorno successivo: il 24 marzo è la data dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui per rappresaglia immediata i nazisti uccidono 335 persone, dieci per ogni soldato tedesco morto. Ma le dinamiche della storia cominciano molto prima, addirittura dall’istituzione di Roma capitale (1871).
Non mi sembra il caso di riportare per filo e per segno tutti gli sviluppi, anche se sarebbe molto semplice: la narrazione di Celestini ha sul pubblico un effetto magnetico, paragonabile a quello che un nonno ha sul suo nipotino, e gli eventi narrati sono comunque indimenticabili nel senso etimologico del termine. L’attore (a mio parere il maggior affabulatore italiano di teatro civile), liberato da qualsivoglia paletto formale, ci inonda con un fiume Tevere di stretto e strascicato romanesco, tanto che qualche rigagnolo qua e là viene perso. Ascanio apre e chiude parentesi quando e come gli pare, trovando applausi spontanei soprattutto quando fa riferimento alla situazione italiana attuale. Ascanio è il professore liceale di storia contemporanea che tanti di noi non hanno avuto, quello che ti parla della Roma del quartiere popolare EUR e dei bombardamenti, anziché farti una testa così a furia di Sacro Romano Impero e feudalesimo. Ascanio è anarchico.
Radio clandestina è un dovere ed è un piacere.