The Pipettes – Live @ Fillmore, Cortemaggiore (PC), 29/04/2007
Domenica 29 aprile c’era il Fillmore a pois.
Attrazione principale, The Pipettes, trio di inglesine che deve tutto ai vecchi gruppi femminili anni ’50/’60 (The Ronettes, quelle di Be My Baby, o The Crystals, quelle di Da Doo Ron Ron).
Si va con Grimmy, Sdrof e le perfettamente agghindate Kia e Veil, tutte a pois e cerchietti come si deve. Dal canto mio, sfodero per la prima volta le Converse con le fiamme, regalo della mia fidanzatina. Per il tipo di concerto, sono calzature certamente più adeguate degli stivalazzi a punta da selvaggio rock’n’roller. Appena dentro il Fillmore, Grimmy e io ci dimostriamo trasgressivi come sempre e prendiamo da bere: lui acqua tonica, io Coca-Cola con una fetta di limone. Poi si torna sotto il palco.
Il primo a esibirsi è un giovane performer che canta, suona la chitarra elettrica e ha sotto delle pessime basi midi, ma si fa apprezzare per lo spiccato sense of humour britannico: è divertente soprattutto il fatto che le canzoni durino pochissimo, circa un minuto l’una. Il tutto è decisamente surreale e il pubblico risponde positivamente sin dal primo pezzo, dall’assurdo titolo Let’s Check Into A Hospital Together. Verso la fine stabilisce il record: un brano di 23 secondi, scritto in occasione del suo 23º compleanno. «Thank you very much», fa con la voce impostata, e sparisce.
Il gruppo spalla vero e proprio è la numerosa band della cantante svedese Marit Bergman: due chitarre, basso, batteria, due tastiere, due fiati, tamburelli a volontà: sul palco sono in otto, maschi e femmine in ugual numero. La spigliata Marit saltella scalza per il palco nella sua mise verde, sulle braccia sfoggia un paio di tatuaggetti tra il romantico e il femminista, interagisce col pubblico e fa la starlette. Alle spalle ha un’orchestra coi fiocchi, dal suono compatto (la batterista ha un gran gusto) e corale (i fiati, in questo senso, fanno la differenza). La musica sta tra beat e primo rock’n’roll, il tutto annegato in un clima da musical spensierato e un po’ naïve (penso a Grease, per esempio). Mi soffermo spesso sul chitarrista elettrico, tre metri per tre chili, capelli corvini, lisci, che cadono sulla faccia da cattivone, vestito elegantissimo. Si capisce che vorrebbe darci dentro molto di più con la sei corde, ma non può. Il suo opposto è il polistrumentista biondo, simpatico, con la cravatta rossa, che passa con estrema naturalezza dalla tromba al tamburello, dalla tastiera alla voce, e non sta fermo nemmeno un secondo. La tastierista ha delle splendide scarpette rosse e bianche. Durante l’ultima canzone, Marit stringe la mano a tutta la prima fila (quindi anche a noi), ringraziando e salutando ogni singola persona. Applausi a scena aperta. Mi viene da pensare che le headliner dovranno proprio impegnarsi, per non farsi surclassare dal gruppo spalla.
A mezzanotte passata, finalmente, il main event! Sul palco salgono prima i quattro musicisti, tutti con gilet giallo da college: alla chitarra ritroviamo Monster Bobby, il simpatico solista che aveva aperto la serata. Ci sono poi Joe alla batteria, Seb alle tastiere e Jon al basso. Poco dopo entrano le tre donnine, accompagnate dagli applausi. Hanno tre vestiti diversi, ma tutti bianchi e con lo stesso motivo a pois neri; Rosay e Riot Becki (che dà l’impressione di essere ubriaca) sono carine, ma Gwenno è scesa da un altro pianeta… Durante il primo pezzo, l’inedita Don’t Forget Me, lanciano degli «You» indicando tra il pubblico, e Gwenno dirige il ditino su Veil, che scatta euforica.
Le tre voci si sovrappongono perfettamente, come perfette sono le coreografie, proprio per la loro semplicità. Nel loro piccolo, le Pipettes sono anche teatrali: mettono in scena dialoghi cantati, si cimentano in piccoli balletti, diventano irresistibili quando staccano i microfoni dalle aste e sono libere di muoversi per il palco. Sulla seconda canzone, Because It’s Not Love (But It’s Still A Feeling), Gwenno mi intercetta inequivocabilmente con lo sguardo. Io le mando un bacino a due mani molto romantico, ricevendo l’approvazione degli amici. Momento delizioso. A fine concerto negherò che l’incrocio fosse stato volontario, ma sono tutti convinti: «Ti aveva già mappato!», mi dice Kia.
Arriva quasi subito uno dei brani più conosciuti, il singolo Your Kisses Are Wasted On Me, e l’entusiasmo aumenta fisiologicamente, a maggior ragione perché le Pipettes ci chiedono di fare la loro stessa mossa: dobbiamo semplicemente puntare l’indice verso l’alto e agitarlo come tante maestrine. Dopo due giri, cambio dalla mano destra alla sinistra. I boys e le girls nel pubblico si divertono visibilmente. I quattro strumentisti ci sanno fare, mi piace soprattutto l’effetto Hammond a tappeto di Seb, mentre a livello di suono Jon è un po’ fuori luogo: martella eccessivamente il basso col plettro, secondo me dovrebbe tenere un tocco più leggero. Anche le ragazze suonano: ogni tanto, una delle tre si stacca per raggiungere una tastierina.
Tra battimani sincronizzati, mossette ammiccanti e melodie zuccherose, il concerto – un’oretta scarsa – scivola via, con picchi di coinvolgimento del pubblico su Judy e sulla finale Pull Shapes. L’album è stato eseguito quasi per intero, più due o tre canzoni inedite. Pioggia di applausi e bis con We Are The Pipettes, brano di apertura dell’omonimo disco.
Come di consueto, riesco a rimediare una stropicciata setlist. All’uscita dal Fillmore, c’è ancora il tempo per un paio di fotografie con la metà maschile della band di Marit Bergman (dov’erano le tipe?), poi si torna a casa. Nelle orecchie ho il ritornello di One Night Stand, negli occhi il sorriso di Gwenno Pipette e sulle labbra il sapore retro di questa notte a pois.
Commenta