Teatro

Il sergente

Lo spettacolo di Marco Paolini al Fillmore, 26/04/2007

Bella la fiducia di un padre per un figlio, bella la fiducia di Mario Rigoni Stern per Marco Paolini: «Fai tu, mi fido», ha risposto lo scrittore all’attore, che gli comunicava l’intenzione di lavorare sul suo testo Il sergente nella neve. Marco Paolini è figlio di Rigoni Stern perché appartiene alla generazione di quelli (come chi scrive) che la guerra l’hanno sentita dai vecchi di casa e l’hanno captata con la curiosità con la quale i bambini origliano i discorsi dei grandi.
In una sostanziale fedeltà al testo, ma con un ricorso più radicale al dialetto e con un’accentuazione della vis comica, meno presente nel romanzo, Paolini ci racconta per cento minuti, senza intervallo, catturando costantemente la nostra attenzione e la nostra partecipazione, le vicende della ritirata di Russia, lo spaesamento, ma anche la capacità di rimanere umani, dei soldati del sergente Rigoni Stern, che non dimenticavano di bussare alla porta delle isbe per chiedere cibo o latte, buono come quello delle malghe.
La scenografia è semplicissima: tre pannelli a specchio sullo sfondo, una grande carta geografica non eurocentrica, ma incentrata sulle regioni della Russia, una sedia ora a terra, ora a mo’ di zaino sulle spalle dell’attore. Sul palco anche il “maestrino di scena” (Marco Austeri), che fa compagnia al protagonista ascoltando il suo monologo e intervenendo, seppure da mimo deuteragonista.
La follia fa parte della guerra, di quelle passate e di quelle in corso (ma Paolini ci ricorda che succede anche in tempo di pace di essere rimbambiti, istupiditi). Così uno dei momenti più toccanti del monologo, dilatato rispetto alla pagina di Rigoni Stern, è l’episodio del Sergentmagiù a colloquio con il soldato impazzito di guerra. Ma la domanda ricorrente di Giuanin al suo sergente: «Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?», lo ancora alla sua responsabilità di sottufficiale e le parole di risposta sono sempre di incoraggiamento: «Dobbiamo restare sempre uniti».
In appendice alla sua affabulazione, Marco Paolini ha brevemente raccontato del suo viaggio di preparazione allo spettacolo, durante il quale una contadina russa, in segno di ospitalità, gli ha fatto dono della coperta che lui stesso ha portato addosso per una parte della messa in scena. Alle proteste dell’attore, che si sentiva in dovere di pagargliela, la donna ha risposto: «No, non pagare, tu sei in viaggio e ne hai più bisogno».
Grande affabulatore e grande attore, è grande il nostro Marco Paolini.

D.E. S.I.C.A.

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