The Darkness - Pinewood Smile
Da Wikipedia: «L’Anglia Orientale (in inglese: East Anglia) è una regione dell’Inghilterra orientale. I confini della regione non sono ben precisati: include le contee di Norfolk e Suffolk, con una parte del Cambridgeshire nella sua forma precedente al 1974 o la totalità di esso». Una delle città del Suffolk si chiama Lowestoft, il cui nome sta tatuato, enorme, sull’addome di Justin Hawkins, flamboyant (l’italiano “fiammeggiante” non traduce appieno) cantante, chitarrista, compositore e fondatore dei portabandiera assoluti del rock classico nel nuovo millennio: The Darkness.
Indovinate com’è il quinto album della formazione britannica (il primo registrato con Rufus Tiger Taylor, batterista e figlio del batterista dei Queen, a comporre il duo ritmico con il bassista Frankie Poullain). Esatto: melodie killer, riff raddoppiati, assoli a manetta, falsetto spaccabicchieri, testi divertenti e scritti benissimo. E il fatto che fama e successo commerciale della band, negli anni, siano decisamente calati, non fa altro che confermare la bontà e l’onestà del gruppo, che ha sempre suonato come gli pareva, in barba a mode, carrozzoni su cui saltare (o da cui scendere) e altre quisquilie e pinzillacchere. Come da tradizione, le prime tracce sono come la combo di un imbattibile personaggio da picchiaduro anni Ottanta in sala giochi: All The Pretty Girls viaggia come un treno e trasmette un messaggio di significativa portata civile e sociale (le ragazze sono belle, ma le madri…), Buccaneers Of Hispaniola è il pezzo storico (nel senso: a tematica storica) a cui la band ci ha abituati, Solid Gold paga pegno agli AC/DC ed è davvero un macigno (pur sempre decorato di sfarzosi gioielli). E che dire del coro: «And we’re never gonna stop / Shitting out solid gold», cantato all’unisono con convinzione? O uno non ha senso dell’umorismo, e allora finisce per considerare i quattro degli stronzi montati, oppure si fa una sonora risata e passa oltre. Completa il poker di apertura Southern Trains, tragicomica espressione di frustrazione e rabbia verso la compagnia ferroviaria omonima (evidentemente i disagi su rotaia non sono solo prerogativa italica).
Ammetto che Why Don’t The Beautiful Cry? non funziona come altri lentacci darknessiani, anche se finisco per apprezzarne comunque la collocazione strategica, in chiusura della prima metà del disco. Dopo i primi 666 ascolti, invece, credo di poter eleggere la susseguente Japanese Prisoner Of Love a mio brano preferito dell’album: riff d’apertura in puro metallo, andatura hard rock à la Rainbow di fine Settanta, coretti fregati ai Cheap Trick, grande lavoro di chitarra tra Justin e Dan Hawkins (che, come talvolta accade tra coppie di fratelli rock, sembra il vero manico tra i due). Lay Down With Me, Barbara concede parecchio al sentimentale, ma fa quello che una power ballad deve fare, cioè darci a bere che lui ama lei, lei ama lui, e che se lei non si stenderà accanto a lui, lui ne morirà.
Non ricorderemo in modo particolare né I Wish I Was In Heaven né Happiness e anzi, forse, per la prima volta, mi sembra di poter parlare di pezzi filler in un album di Justin & Co. (la band ha comunque dimostrato di credere nel secondo, per il quale è stato realizzato un buon videoclip di animazione). La canzone di chiusura, Stampede Of Love, mi ha portato a cercarmi che vuol dire ’sto termine inglese, che di rado si incrocia: ebbene, stampede è la fuga precipitosa, lo scappare in preda al panico. E come mai la ballata acustica finale (splendida), che prima si dischiude in un commovente country folk e poi esplode in un epico hard rock, dovrebbe parlare di tale argomento? Perché narra della fuitina d’amor di due amanti oversize, che appunto danno l’impressione del fuggi fuggi generale dei pachidermi nella savana, e il tutto è raccontato senza mai suggerire la presa per il culo ma, al contrario, veicolando l’idea di un amore senza confini e che non soggiace a stupidi canoni di bellezza. Fine del disco (che è uscito anche in edizione deluxe, con quattro brani in aggiunta: Uniball, Rack Of Glam, Seagulls (Losing My Virginity) e Rock In Space).
A proposito di bellezza e diversità, tutto si può dire della copertina di Pinewood Smile, ma non che sia bella: neanche un fan del camp (che non è il trash né il kitsch) come me può farsela andare giù. Ciononostante, e compresi quel paio di episodi non memorabili di cui sopra, il voto massimo è d’obbligo, per il motivo di sempre. Esistono tutti i gruppi del globo, ma il capitolo The Darkness fa storia a sé. Da vari lustri, ormai. Nel solco del vero rock.
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