Sydrojé - Duende
I Sydrojé sono seri, e onesti. Giunti ormai nel pieno del loro quinto anno di vita, hanno alle spalle tre album e una manciata di demo che ne testimoniano l’impegno e restituiscono una fedele cronistoria della vita del gruppo. Un percorso non particolarmente tortuoso, visto che la proposta del gruppo si è da subito calcificata in un solido connubio di grunge grezzo e trasognata canzone d’autore, ispirato dai Nirvana quanto da Faber, dagli Afterhours (con cui i Sydrojé hanno diviso il palco l’estate scorsa) quanto dai nostri anni ’60. Sul loro cammino, amore incondizionato da parte dei fan e feroci critiche dei detrattori. Incontestabile, comunque, che i tre abbiano spesso fatto parlare di sé, il che è oggettivamente un bene, se si pensa a quanti gruppi locali si sono formati e poi sciolti nell’arco di uno sbadiglio o tutt’al più di un ascolto distratto.
Eccomi dunque a buttare giù due righe su questo Duende (il titolo richiama il «fuoco sacro» di cui scrisse García Lorca). In controtendenza rispetto alle recensioni di ogni epoca e latitudine, posso scrivere con piacere: questo non è il disco della svolta, non è il disco del ritorno, non è il disco dell’addio, non è il miglior capitolo della loro discografia (secondo me l’apice, per ora, resta Madame Livido), non è un punto da cui ripartire. Ok, ma allora che cos’è? Semplice: è un altro cazzo di bel disco dei Sydrojé. Mi viene in mente quando, nei primi anni del decennio, dopo esserci presi bene con l’esordio Is This It, ci chiedevamo quale opera seconda i ragazzetti newyorkesi The Strokes avrebbero sfornato. E la risposta fu la più ovvia: Room On Fire, cioè un altro album di belle canzoni in quello stile. Oppure, per fare il ragionamento inverso, mi metto nei panni del maniaco degli AC/DC, che all’ennesimo album desidera ardentemente nuovi pezzi degli AC/DC e non vuole aver rotte le palle con menate di cambi di direzione, suono ricercato, sperimentazione musicale. Per quanto mi riguarda, il suddetto maniaco ha un sacco ragione.
Le conseguenze (in realtà le due facce di una conseguenza unica) di un approccio del genere sono evidenti. Amate i Sydrojé? Amerete Duende. I Sydrojé vi fanno cagare? Duende vi farà cagare. Io appartengo alla prima schiera, e dopotutto sono chiamato a scrivere perché. Mi piace Duende perché contiene testi tra i migliori degli ultimi dieci anni a Cremona, testi che né invocano una lavignana libertà dal soffocante globo terracqueo, stile «Hey, non dirmi quel che è giusto o sbagliato», né farneticano di incomprensibili seghe mentali, com’è tipico dei peggiori indieoti: i testi dei Sydrojé sono personali, interessanti, sessualmente perversi, oppure dolci, depressi nella misura in cui se ne guarda solo la superficie, invece sarcastici e a loro modo divertenti se sottoposti a un orecchio più attento. Mi piace Duende perché suona grosso, e forte: anche le ballate, una su tutte Stupido Cuore, hanno il loro bel tiro. Mi piace Duende perché almeno Bacche, Rabbia E Alcol e Ufo Due spaccano di brutto. Mi piace Duende perché Stefano Scrima ha ingoiato un paio di rasoi Gillette quando era molto piccolo, e gli è rimasta questa voce rotta, che ti piglia a calci in culo oppure ti sussurra dei segreti. Mi piace Duende perché il basso di Andrea Carasi sta sempre lì davanti come un martello, e Stefano Muchetti fa suonare la batteria in un modo che provo a definire originale, riconoscibile.
Tre pezzi, cioè Inutilità (con Jacopo Bodini alle tastiere), Marocco Dream Nation e Succhi Gastrici, erano già presenti sul disco del 2006 Né Vivere Né Morire e qui vengono riproposti: la scelta non mi convince. Capisco il desiderio dei ragazzi di reincidere vecchi brani in alta qualità, ma, tanto per dirne una, senza questi “doppioni” il cd sarebbe durato un po’ meno, forse guadagnando sul piano dell’intensità.
Come di consueto, è molto curato tutto il concept che sta dietro alle illustrazioni di Eta, che va bene, è sangue del mio sangue e quindi sono di parte e bla bla bla, ma se mi fate il nome di un’artista più rock di lei nel giro di cinquanta chilometri, vi offro una birra. Questa volta i protagonisti del booklet sono Pic (il tuo fantasma del passato!) e Sigh (il tuo scheletro nell’armadio!), che avevano già fatto la loro comparsa sulla copertina del recente demo-giochino La Sballona, e che qui sono tratteggiati mentre bevono e giocano a carte, oppure mentre il fantasma spazza le ossa dello scheletro e poi lo scheletro restituisce il servizio, stendendo ad asciugare il fantasma come fosse un lenzuolo…
Fica la volumata stile BeatBazar, lo studio cremonese che ha come obiettivo mandare in saturazione gli impianti stereo dei cristiani.
Insomma, Duende è un bel disco, e i Sydrojé sono un bel gruppo rock.
Commenta