Egonauta - Like Big Magnets
Le somiglianze non sono un caso. La musica degli Egonauta è pensata, ripensata, dilatata nel tempo. E pensata, ripensata, dilatata nel tempo è l’uscita del loro ultimo album, Like Big Magnets. Sei mesi (da marzo a settembre 2006) per le registrazioni e il mixaggio. Circa un anno di stasi, tra consegna del master definitivo a pochi eletti, concepimento e realizzazione della bella grafica di copertina – fronte e retro muti, privi delle poche parole su carta, che sono nascoste all’interno – e due o tre live al massimo. Finisce il 2007 e il progetto è compiuto, quindi una data precisa di pubblicazione non esiste. Vi basti sapere che il disco è finalmente completo e reperibile.
Un problema sorge subito: in uno slancio di sincero – ma comunque eccessivo – entusiasmo, avevo dato il massimo dei voti al precedente demo del gruppo (roba di tre anni fa). E adesso non so come fare, visto che questo disco è nettamente migliore. Mi salvo in corner proprio con questa scusa nominalistica: quel voto era dato a un demo, questo è dato a un disco. Quindi alzo il livello di giudizio, la mia ben nota severità mi impone di non dare il massimo dei voti. Ma le stelline, detto sottovoce, non contano. Conta la musica.
Una macrosuite. Chiamo in questo modo un cd che, constando di cinque tracce, dura quaranta minuti e quaranta secondi. Ma, al di là della durata splendidamente oceanica dei brani, parlo di macrosuite perché i cinque titoli – Marklaar, Welcome Sea People!, Attica, Ottobre, P.L.M. – servono sostanzialmente a rendere identificabili i cinque diversi riff o comunque giri melodici. Ma non credo sia possibile (né sensato) amare un brano e non un altro, poiché tutto l’album è una cosa sola. Gli Egonauta hanno cercato e trovato una serie di suoni, di atmosfere, hanno saputo evocare delle sensazioni. E quei suoni, quelle atmosfere, quelle sensazioni rimangono. L’esperto di post rock (io non lo sono) dirà che si sente molto l’influenza dei Mogwai. Anzi, probabilmente tirerà fuori qualche nome mai sentito, con cui provare a descrivere ciò che emerge da questo bellissimo cd. Personalmente, adoro il progressive anni ’70 alla Pink Floyd, e allora posso dire che secondo me questo rock è erede credibile di quel rock. Anche se, sentendo catalogare la propria musica come “rock”, Molo potrebbe dare in escandescenze. Allora, per ricollegarmi alle parole scritte per quel vecchio demo con la copertina rossa e verde, ribadisco: musica post-atomica. Nei mondi dell’infinito fantascientifico, riecheggiano le note degli Egonauta. In una foresta incontaminata, come in un’industria abbandonata.
Recuperate il disco. Vi piacerà, a meno che non amiate solo e soltanto la musica immediata. Vi innamorerete dei vostri personalissimi passaggi preferiti, come per me il giro di basso all’inizio di Welcome Sea People!, oppure la seconda parte di Ottobre, dove le chitarre si fanno pesanti e poi si scivola via verso l’arpeggio a spirale che chiude il brano. Oppure vi intripperete seguendo solo la ricchissima parte di batteria di Tiz, che cambia costantemente, e riesce a essere delicata anche quando si pesta duro (per esempio, dopo la metà di P.L.M.).
A proposito: P.L.M. è il brano finale, e dura 08:08, cioè esattamente la lunghezza media delle tracce (40:40 diviso 5). È come se le quattro canzoni precedenti (che durano di più, di meno, di meno, di più) fossero dei tentativi di avvicinamento alla perfezione formale dell’ultima.
Dopo aver preso confidenza con Like Big Magnets, vorrete vedere gli Egonauta in concerto. E l’esibizione dal vivo, alla fine, arriverà. Pensata, ripensata, dilatata nel tempo.
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