The Lifetimes - 42
The Lifetimes sono Roy Bennett, Rob Mardle e Paul Greenwell, ovvero le stesse persone che compongono i Too Rude, scatenata cover band rock molto nota dalle nostre parti, e una delle pochissime che ascolto volentieri. Chi ha visto i Too Rude almeno una volta può già dire di conoscere l’energia e la schiettezza che i tre riversano anche in questo 42. Qualcuno, come me, vedendoli eseguire benissimo un repertorio di successi rock, si sarà chiesto se i tre fossero altrettanto bravi nel comporre brani originali. La risposta ce l’ho nelle orecchie e tra le mani mentre scrivo: assolutamente sì. Le canzoni sorprendono per freschezza ed energia con un accattivante ibrido di punk rock e brit pop. Tutti i brani puntano sulla velocità e l’immediatezza, ma c’è spazio anche per ballate come Sever e Butterfly. La voce di Roy sembra quella di un ragazzino e contribuisce a rendere molto allegro questo album, anche se i testi mostrano rabbia, delusioni e cicatrici varie. Non ho idea di cosa significhi il 42 che dà il titolo all’album: immagino sia un numero non lontano dall’età dei tre, ma mi piace pensare che sia un omaggio a Douglas Adams. Oltre alle ballate già citate segnalo il brano di apertura che conquista nei primi dieci secondi, No Return, e Stains, che sarebbe perfetta come sigla per una sitcom stile Friends.
Niente di nuovo sotto il sole, ma un disco piacevole, suonato e prodotto molto bene, che mi fa sperare di vederli presto dal vivo.
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