Jenny’s Joke - Jenny’s Joke
Riecco i Jenny’s Joke. Del loro disco del 2005 Ninth Scene scrissi con entusiasmo qui, e le conferme che non avevo preso un abbaglio non tardarono ad arrivare. I ragazzi furono selezionati dal concorso nazionale di Arezzo Wave, vinsero il Premio Creatività al MEI di Faenza l’anno dopo e, nel 2007, la trasmissione di Radio 1 Demo incluse quell’album nella top ten delle uscite indipendenti dell’anno.
Questo lavoro, privo di titolo se non il nome del gruppo, prodotto dagli stessi Jenny’s Joke con Paolo Messere e pubblicato da Seahorse Recordings, conferma la credibilità del progetto. Un altro concept, di ambientazione spaziale. Gli undici brani mi accompagnano per tre quarti d’ora di rock sperimentale e mutevole. La prima grande differenza con il disco rosa di qualche anno fa sta nell’approccio produttivo: il nuovo cd è grondante di loop, sintetizzatori, campionamenti, effetti elettronici e via dicendo. La tendenza all’accumulo, in certi episodi dell’album, rischia però di far passare in secondo piano la ricerca melodica e armonica a cui i Jenny’s Joke mi avevano abituato. Trovo infatti molto semplice individuare le gemme del cd, che spuntano fuori già al primo ascolto, consolidando il proprio valore anche in relazione ad altri pezzi, iperprodotti ma un po’ meno convincenti.
Dopo il potente inizio di Spin Me Round e Don’t Lay Your Head On My Shoulder, ritrovo i miei Jenny’s Joke preferiti nell’onesto rock stile anni Novanta di From Below. Simile al colore blu che domina la grafica del disco, ecco Slow Purple Dance. Segue Lunar, che gioca un po’ ai Depeche Mode, senza intercettare la mia partecipazione. È invece splendida la ballata Soft As Breeze, il cui andamento dispari non è fine a sé stesso, ma diventa un vero fattore di coinvolgimento emotivo. L’atmosfera ricorda a tratti alcuni momenti malinconici del Roger Waters di inizio anni Ottanta. Grossa e d’impatto è New Day Dawning, di cui rimane il riff di basso distorto. L’intento di The Freaky Story Of Somebody Else è forse quello di avvolgere l’ascoltatore attraverso l’utilizzo del loop e la struttura ripetitiva, ma il tentativo si risolve in un esperimento quasi dance. Il pezzo porta comunque il titolo più significativo, a pari merito con la traccia successiva, Singing In The Brain. Si va in crescendo: la musicalità di The Acrobat, canzone lunghissima ed evocativa, suggerisce l’insicurezza e la fragilità della voce narrante ancor prima del verso-chiave «I feel just like a child when I’m in your arms». I suoni metallici che emergono qua e là nella coda strumentale sono, qui sì, necessari e funzionali al brano, che si chiude in modo inaspettato. Dalla chitarra acustica e dal suono acquoso del Farfisa nasce la bellissima Puddles, su cui cala il sipario.
I Jenny’s Joke si trovano dunque in equilibrio tra due anime: da un lato, l’interesse per il massiccio utilizzo della tecnologia; dall’altro, la voglia di scrivere belle canzoni rock, voce/chitarra/basso/batteria (e meno male!). Ovviamente i due aspetti non sono distinti in modo così chiaro, ma ciò che fa di una band un’ottima band è la capacità di scrivere ottimi pezzi, non c’è bisogno di molto altro. I Jenny’s Joke ne sono capaci: per questo li apprezzo di più nella loro veste tradizionale, senza troppe sovrastrutture.
Nonostante l’andamento un po’ altalenante al mio orecchio, comunque, il nuovo album è senza dubbio un bel disco: suona decisamente bene e viaggia senza problemi in repeat. L’augurio rivolto al gruppo è di trovare riscontri sempre maggiori; il consiglio per chi legge è di andare a vedere i Jenny’s Joke in concerto.
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